Quello che gli abiti dicono di noi

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Un bell’abito è da sempre stato non solo il simbolo di cura e ricchezza, ma anche un modo attraverso cui sentirsi maggiormente a proprio agio e sicuri di sé. L’abito insomma ha risvolti in termini psicologici che non ci aspetteremmo o a cui spesso non prestiamo la dovuta considerazione: anche solo pensare di indossare nell’intimità della nostra casa una divisa o i nostri abiti da lavoro, così come viceversa pensare di lavorare indossando un pigiama, ci fa sentire subito a disagio. I nostri abiti in ufficio dicono moltissimo di noi. Vestire in modo casual potrebbe indurci a distrarci maggiormente, dal momento che non ci sentiamo del tutto calati nel nostro ruolo lavorativo, così come un abbigliamento eccessivamente formale e ricercato equivale quasi all’indossare un’uniforme, dal momento che si ostenta un certo ordine gerarchico.

Quello che gli abiti dicono di noi

Per le donne la questione diventa un po’ più spinosa e paradossale: se, da un lato, risultano più gradevoli donne “casual” che appaiano più alla mano e cordiali, dall’altro, eccedere in questo senso rischia di non farle prendere seriamente in considerazione per quanto riguarda il loro ruolo professionale. Da alcuni studi sarebbe in effetti emerso come siano prese più facilmente in esame per ruoli dirigenziali quelle donne che non solo risultano più sicure di sé, intraprendenti e dominanti, ma che siano anche capaci di smussare questi lati per mostrarsi, all’occorrenza, più civettuole! Queste ultime, infatti, vengono promosse 1,5 volte più spesso rispetto alle loro pari più “stereotipamente femminili”, cioè premurose, docili e sensibili.

Al momento dell’assunzione, comunque, ricopre purtroppo un ruolo ancora troppo importante la scollature. Secondo un recente studio finalizzato a valutare quanto incida l’abbigliamento femminile nella valutazione delle candidate per un posto di lavoro, è emerso che, se nelle foto allegate al curriculum le donne si presentavano in maniera più “discinta”, la probabilità di essere convocate per un colloquio successivo era 5 volte superiore rispetto alla loro versione identica, ma più “castigata”.

La Redazione