Sincerità radicale: cos’è e come usarla

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Due definizioni

Alla voce “sincero”, il vocabolario Zingarelli dà questa definizione: «chi nell’agire, nel parlare e simili, esprime con assoluta verità ciò che sente, ciò che pensa. » Dal latino sincerum ,schietto. Per definizione genuino, autentico e puro.

Radicale, dal radixicis «radice», l’intima essenza: il fondamento di qualcosa, come le radici di un albero. Radicale può essere anche un cambiamento, pieno e totale che parte dalla base.

Che cos’è la sincerità radicale?

È un strumento per la leadership o una strategia del public speaking? Un modo di fare al meglio il proprio lavoro o un modo di fare individuale per rapportarsi con gli altri ? Forse quando parliamo di sincerità radicale parliamo di tutti questi aspetti, letti però in chiavi diversi da ognuno di noi e applicati nei contesti diversamente specifici.

Per lo statunitense Nick Morgan storico del teatro antico e contemporaneo, attualmente speaking coach e autore di numerosi libri e pubblicazioni per Harvard Business Review e Forbes, il concetto di sincerità radicale è una questione della performance preparata in tal modo da sembrare un’ improvvisazione. Ma non è paradossale parlare di una sincerità studiata? Tutto questo non rende una tale “sincerità” un falso? E come possiamo mostrare una sincerità così preordinata?

Partiamo dal presupposto che nell’era digitale e televisiva, la sincerità non prevede la spontaneità, ma deve essere individuata e tradotta. Il paradosso dell’oralità nell’era dei media è che qualsiasi improvvisazione ci sembra falsa; solo una dichiarazione preparata potrebbe sembrare sincera. Sulla base di questo non possiamo più lasciare l’aspetto non verbale alla volontà dell’inconscio, del caso o del momento. Se abbiamo l’obiettivo di essere creduti, convincere e trasmettere la fiducia durante un incontro con i colleghi, cosi come alla presentazione di un libro o in una conferenza importante, spiega Morgan, dobbiamo prevedere la necessità di prepararsi per il momento, non solo di essere in esso.

Ciò richiede una comprensione di cos’è la comunicazione e come funziona, soprattutto a livello non verbale. Quello che dobbiamo rafforzare per esercitare la nostra sincerità radicale, è la capacità di usare il linguaggio del proprio corpo a nostro vantaggio e dominare il nostro istinto. Avere la padronanza di questi due elementi ci permette di sviluppare al meglio la nostra “performance di sincerità”, che non significa assolutamente debba essere non vera, bensì preparata in anticipo per essere efficace.

Vi sono due dialoghi in qualsiasi processo di comunicazione. Il primo è presente in qualsiasi conversazione, quello in cui si è consapevoli del contenuto stesso di ciò che viene detto. Il secondo dialogo avviene appunto a livello non verbale. La maggior parte delle persone sono predisposte a livello inconscio a leggere i segnali di questo tipo, ovviamente non parliamo delle microespressioni di Ekman, ma di segnali non verbali facilmente percepibili ed evidenti (per esempio: non ci capita di riflettere sulla postura tesa e il volto preoccupato del nostro amico con le mani nei capelli, bensì ci viene spontaneo arrivare direttamente alla conclusione, contestualizzando e dunque decifrando quello che vediamo in maniera quasi immediata – “Marco è nei guai!”)

Lavorare quindi sul controllo del corpo sempre esposto alla percezione degli altri è una parte non indifferente se si vuole trasmettere la sincerità. Proprio da esso dipende un successo o un fallimento nella comunicazione con le persone.

Non solo il corpo sotto l’impulso delle emozioni, ma anche il nostro istinto può tradirci. Dobbiamo imparare a controllare quest’ultimo ed essere in grado di condurre i dialoghi del proprio verbale e quello non verbale, contemporaneamente e consapevolmente.

Qui però sorge una domanda logica. Come possiamo rendere cosciente l’inconscio, senza perdere spontaneità, persuasività e leggerezza esterna?

Un modo per sembrare sinceri – radicalmente sinceri – è la pratica. Nella memoria muscolare del nostro corpo dovrebbe essere anticipata la nostra camminata o il modo di parlare durante un incontro o esibizione, tradotti in un’aura di fiducia, ed interpretati come sincerità, afferma lo studioso americano. D’altronde quando una persona dice quello che pensa, le parole e il linguaggio del corpo sono coerenti. Perché l’essenza della sincerità radicale rimane sempre la sua autenticità.

Alla voce “sincero”, il vocabolario Zingarelli dà questa definizione: «chi nell’agire, nel parlare e simili, esprime con assoluta verità ciò che sente, ciò che pensa. » Dal latino sincerum ,schietto. Per definizione genuino, autentico e puro.

Invece Kim Scott, sviluppa il concetto di sincerità radicale in una chiave diversa, ma non meno interessante. Precedentemente CEO coach presso i leader tra le aziende tecnologichecome Twitter e Dropbox è stata un importante membro della Apple University e spiega come essere un capo «tosto» senza perdere la propria umanità, introducendo in una dimensione imprenditoriale applicata al management, la sua visione di sincerità radicale.

Spesso ci si sente condizionati ad evitare di dire quello che si pensa e per evitare conflitti e momenti di imbarazzo, si adotta un comportamento sociale ermetico, chiuso, introverso. Un atteggiamento di questo tipo può manifestare il proprio lato disastroso per un manager, quindi “radicale”. Sulla base di questo nasce la “necessità di comunicare con una chiarezza tale da non lasciare spazio a fraintendimenti, ma anche con umiltà.” e offrire la propria visione esplicita degli eventi nel confronto diretto, quindi con la “sincerità”.

Anche in questo caso la sincerità non sempre deve seguire un corso completamente spontaneo o “anarchico”. Essere radicalmente sinceri non significa sbattere la propria verità o opinione personale in faccia ai colleghi, bensì preparare la forma di un discorso basato su quello che si pensa veramente.

È sorprendente che dalla sincerità radicale spesso ci si aspettino  risultati negativi e reazioni contrarie. Si teme che gli interlocutori si arrabbino e invece perlopiù saranno riconoscenti, in quanto grati della possibilità di approfondire la questione. E consapevoli del coinvolgimento sul piano umano del loro manager.

Per concludere, guarderei per un attimo il concetto di sincerità radicale in chiave puramente comportamentale, contestualizzata alla quotidiana routine della natura umana.

Piaccia o no, le bugie fanno parte della nostra vita. Tutti mentono. Noi, i nostri cari, le persone dalle quali ci aspetteremmo sempre e solo sincerità. Mentiamo anche a noi stessi, e mentiamo addirittura sulle menzogne, quando diciamo che sono cose da nulla, o quando ci convinciamo che sono a fin di bene. La sincerità radicale, in questo habitat di menzogne buone o cattive, utili o sbagliate, futili o gravi, può essere un rimedio? Ci serve veramente dire sempre la verità su cosa pensiamo? Intesa come un comportamento trasparente sulle proprie emozioni, basato sul dire sempre la propria opinione reale e la verità in maggiore misura possibile, giocherebbe sempre a nostro favore? Forse molti rapporti non si sarebbero mai instaurati o salvati senza le piccole menzogne, esattamente così come tanti non si sarebbero distrutti nei peggiori dei modi. In ogni caso per mettere in pratica la sincerità verso gli altri è necessario applicarla con se stessi in primis. La sincerità è necessaria per coltivare le relazioni vere. È indispensabile per non perdere mai il legame più duraturo, quello con se stessi.

Jekaterina Kanevskaja

Fonti:

Nick Morgan – Power Cues: The Subtle Science of Leading Groups, Persuading Others, and

Maximizing Your Personal Impact / Harvard Business Review Press (2014)

Kim Scott – Sincerità radicale, Franco Angeli Editore (2019)