Colloquio di lavoro – Perché è importante mettere il candidato a proprio agio

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Sempre più spesso si sente parlare di aziende che durante i colloqui di lavoro attuano tecniche volte a mettere sotto pressione il candidato. L’obiettivo di queste stress interview è valutare come la persona reagisca a situazioni sgradevoli e quanto sia in grado di gestire la tensione.

Questa tipologia di colloquio è in realtà rischiosa, poiché genera un sentimento di ostilità tra il candidato e il selezionatore, che in quel contesto rappresenta l’azienda stessa. Questo conflitto può fare sì che il candidato elabori una cattiva impressione dell’organizzazione e decida di non accettare l’offerta di lavoro proprio a causa dello stressante colloquio che ha dovuto sostenere. Nel caso si tratti di una persona valida, questa modalità implicherebbe la perdita di un potenziale talento.

Non solo: probabilmente il candidato sarà portato a raccontare la sua esperienza ad amici, parenti e conoscenti, diffondendo un giudizio negativo nei confronti di quella realtà. Il suo passaparola potrebbe amplificarsi esponenzialmente qualora dovesse decidere di condividere l’episodio sui social network. Piattaforme come LinkedIn, ad esempio, hanno posto l’opinione del candidato al centro, poiché pullulano di post in cui gli utenti danno voce alla propria indignazione che può derivare da un colloquio mal gestito, da un HR maleducato o da una domanda irriverente. Questo trend è da considerare positivo, perché spinge le aziende che non vogliono ledere la propria immagine a prestare particolare attenzione al trattamento riservato ai candidati.

Qualora si ritenesse indispensabile mettere sotto pressione il candidato ai fini di una buona selezione, è importante esplicitare alla fine del colloquio che si trattava di un test. Dedicare qualche minuto alla spiegazione del perché il candidato abbia subito un trattamento apparentemente scortese permette di evitare possibili fraintendimenti.

In ogni caso, oggi più che mai il colloquio di lavoro dovrebbe essere inteso dalle organizzazioni come un’occasione di brand reputation. È bene tenere a mente che la selezione del personale non è un processo unidirezionale, ma reciproco: non è solo il recruiter a valutare il candidato, ma è anche il candidato stesso che sfrutta il colloquio per farsi un’idea dell’azienda e per comprendere se sia in linea o meno con i propri obiettivi e valori.

Evitare questi miseri trucchetti è dunque conveniente non solo per motivi puramente etici, ma anche perché è nell’interesse dell’azienda che i candidati vivano la selezione del personale come un momento piacevole e costruttivo.

Mettere il candidato in una condizione di tranquillità consentirà da un lato di leggere con maggior efficacia il suo linguaggio del corpo, dall’altro di aiutarlo ad aprirsi e a parlare di sé. Le informazioni di maggior qualità sono infatti quelle che vengono date in maniera spontanea e rilassata dal proprio interlocutore. Al contrario, lo stress inibisce il candidato e rende impossibile l’osservazione della Comunicazione Non Verbale, poiché i gesti potenzialmente interessanti sono celati da segnali di rifiuto e tensione generati dalla condizione di disagio in cui si trova.

È quindi fondamentale mettere il candidato a proprio agio, in modo tale che abbia un buon ricordo dell’azienda indipendentemente dall’esito della sua candidatura. La parola chiave del processo di selezione deve essere il rispetto.

Greta Mezzetti