Con uno schiocco di dita

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Qualunque cosa scriva in questa ricorrenza dell’8 marzo può essere oggetto di critiche, come dimostra la recente polemica sorta intorno all’uso del genere riguardo le professioni delle donne durante il Festival di Sanremo. Non voglio intrattenere i lettori sulla grammatica della lingua italiana, mentre dal mio osservatorio privilegiato posso solo offrire qualche breve riflessione. Per varie settimane, in periodi diversi degli ultimi dodici anni, ho monitorato i rientri serali di chi lavora fuori casa. I primi a tornare alle rispettive abitazioni, uomini e donne indistintamente, arrivano verso le 19:30; il gruppetto più nutrito giunge a casa alle 20. Gli ultimi, spesso liberi professionisti, dopo le 20:30, in un orario variabile che si estende fino alle 22. Supponendo che nessuno si sia trattenuto sul luogo di lavoro più a lungo di quanto richieda la propria mansione, che nessuno partecipi tutte le sere a eventi e corsi di fitness, oppure si ritrovi sempre per l’aperitivo, dobbiamo immaginare che i primi a lasciare l’ufficio siano usciti alle 19, concedendo mezz’ora per sfidare il traffico cittadino.

Lungi dal voler puntare il dito contro il disinteresse verso le proprie famiglie accudite da qualcun altro – a loro volta uomini o donne, di qualunque età, spesso per nulla o malamente retribuiti – questo è invece il segno del disordine decennale della società italiana in merito ai temi caldi del lavoro e della cura della famiglia. Il cinema offre sempre ottimi spunti e un archetipo femminile cui richiamarci è quello di Mary Poppins: lavoratrice, indipendente, ma con “ogni secondo lunedì libero”, mai in attesa di un cenno di approvazione maschile per sentirsi “praticamente perfetta sotto ogni aspetto”. Uno schiocco di dita con un potenziale di quel calibro bastava per riordinare tutto ciò che non va; l’equivalente di Mary Poppins è solo una riforma legislativa, se tenesse conto dell’ampiezza necessaria per essere realizzata con il sufficiente respiro. La Finlandia, per esempio, che oggi ha il sistema scolastico più efficiente d’Europa, ha impiegato venticinque anni per realizzare la transizione a un modello sociale migliore per tutti, pur avendo iniziato da un’economia modesta, con una base culturale ridotta all’osso. In questo momento l’Italia è una grande casa estremamente disordinata dove si può tentare a piccoli passi di dare una spolverata non risolutiva. È anche una questione di scelte. Non potremo avere tutto con questo stato di cose: scegliendo, dovremo per forza rinunciare o dare minor peso a ciò che lasciamo; i risultati saranno diversi nei diversi ambiti e di questo dobbiamo tenere conto. Non potendo con uno schiocco di dita riordinare la complessità della situazione, possiamo solo metterci in cammino, uomini e donne, verso maggiore libertà e consapevolezza individuale. Un’amica ci ha provato partendo dalle basi, cioè dall’infanzia: amareggiata dal fatto che una nota azienda di giocattoli pubblicasse ancora un catalogo diviso tra giochi per maschi e giochi per femmine, ha scritto ai responsabili del marketing facendo notare l’incongruenza, dato che la sperimentazione libera dei ruoli è uno dei presupposti di uno sviluppo sano della personalità di entrambi i sessi. Dopo molti mesi ha ricevuto una risposta nella quale si allegava il nuovo catalogo rivisto e ripensato in una logica di giochi indoor, outdoor e creativi. Un piccolo segno, ma importante, del modo di pensare del singolo che può fare la differenza, anche nella comunicazione di genere.

Cecilia M. Voi