I bias che fanno fallire le negoziazioni

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Vi è mai capitato di rifiutare una proposta, non perché fosse svantaggiosa ma perché non vedevate di buon occhio la controparte?

Il responsabile di questo comportamento è un bias poco noto, ma piuttosto invadente che ci spinge a svalutare le proposte quando queste provengono da un antagonista. Pregiudizio, questo, che può mandare a monte non poche negoziazioni.

Dove si verifica

Immaginiamo che Maria sia in lite con la vicina di casa. È esausta, dopo anni di controversie, malumori e incomprensioni. A un certo punto si rende conto che qualcosa deve cambiare o sarà costretta a trovare un’altra abitazione.

Un giorno, la vicina di Maria bussa alla porta con una proposta: per una migliore gestione della spazzatura, le propone di modificare la logistica dei bidoni dei rifiuti.

Maria riconosce che questo accordo potrebbe essere utile a tutti, ma è indecisa e inizia a fare, nella sua testa, tutte le supposizioni possibili: “Perché dovrebbe propormi questo accordo se non ha già calcolato tutti i possibili benefici per lei, più che per me?”, “Questa proposta potrebbe rivelarsi una trappola” e via dicendo.

Benché Maria avesse già individuato con il marito una soluzione simile, si sente a disagio nell’accettare l’offerta. Così rifiuta. La valutazione della proposta viene offuscata dall’opinione che ha della vicina e dalla sua riluttanza ad accettare i termini proposti dalla controparte. Questo è un classico esempio di svalutazione reattiva.

Inutile dire che questo pregiudizio contribuirà a esacerbare l’animosità tra le vicine in modo irreversibile.

Gli effetti della svalutazione reattiva

La svalutazione reattiva può rappresentare un ostacolo cognitivo significativo nella risoluzione dei conflitti. Se non siamo in grado di ascoltare e considerare obiettivamente le proposte degli altri, potremmo trovarci in situazioni di stallo dannose e costose, basti pensare a cosa accade nei paesi in guerra.

I ricercatori Ifat Maoz, Andrew Ward, Michael Katz e Lee Ross hanno studiato l’impatto della svalutazione reattiva nei negoziati tra Israele e Palestina. I partecipanti allo studio (sia persone neutrali sia pro-Israele) hanno ricevuto un trattato di pace scritto fingendo che provenissedal Partito laburista israeliano o da un’organizzazione palestinese.

Anche se il trattato di pace era lo stesso in entrambi i casi, sia i partecipanti pro-Israele, sia quelli neutrali considerarono la proposta più favorevole alla Palestina quando collegata alla paternità palestinese.

Quando i ricercatori hanno approfondito il ragionamento, hanno però scoperto meccanismi cognitivi più elaborati. I partecipanti pro-Israele avevano interpretato in modo diverso i significati dei punti del trattato, condizionati dall’origine politica dello scritto.

I soggetti filo-israeliani, leggendo il piano scritto da Israele, interpretarono la “militarizzazione limitata” dei territori occupati come qualcosa di simile alla presenza di una forza di polizia cittadina, mentre i filo-israeliani leggendo il piano scritto dai Palestinesi, lo interpretarono più vicino alla presenza di un esercito nazionale.

Al contrario, i soggetti neutrali non interpretarono gli item in modo diverso. Qui è evidente l’effetto della svalutazione reattiva. I significati che attribuiamo alle parole degli altri possono causare malintesi e il rifiuto di concessioni per noi anche molto vantaggiose.

Vi è mai capitato di rifiutare una proposta, non perché fosse svantaggiosa ma perché non vedevate di buon occhio la controparte?

Perché succede

Abbiamo visto come il pregiudizio interpretativo possa produrre effetti negativi importanti e convalidare il nostro disprezzo verso offerte costruttive e, per così dire, “di pace” e quindi porre limiti anche insormontabili alla negoziazione.

In situazioni di estrema inimicizia, le parti sono spinte irrazionalmente a vedere il conflitto come a somma zero, il che significa che le parti sono così diametralmente opposte che un guadagno per una parte equivale a una perdita per l’altra. Pertanto, in un gioco a somma zero, qualsiasi proposta avanzata da un avversario finisce per essere respinta.

Le perdite pesano più dei guadagni

Ad aggravare la forza della svalutazione reattiva, oltre al gioco a somma zero, si aggiunge il dispiacere che si prova per le perdite. Come dimostrato da Daniel Kahneman e Amos Tversky, il dolore che proviamo per una perdita è più grande del piacere che proviamo per un guadagno di pari entità. La paura delle perdite, o avversione alla perdita, può impedirci di dare il giusto valore alle cose.

Nel caso di una negoziazione, fare concessioni è utile per ottenere in cambio cose vantaggiose per noi. In risposta a tali richieste però l’avversione alle perdite può indurci a svalutare una proposta a priori, poiché potrebbe essere percepita eccessiva rispetto al guadagno che potremmo trarne, e allo stesso tempo mostrarci la controparte come una minaccia. La tendenza a svalutare e rifiutare la negoziazione potrebbe pertanto essere una strategia per proteggerci emozionalmente.

Riuscire a guardare alla situazione in modo razionale e distaccato, atteggiamento certo non facile, potrebbe promuovere un processo decisionale più obiettivo.

Dove tutto è iniziato

Per capire che cosa avesse spinto URSS e USA alla corsa agli armamenti durante la Guerra Fredda, Ross e la collega dell’università di Stanford Constance Stillinger hanno cercato di comprendere ciò che impediva la risoluzione dei conflitti: entrambi i Paesi avrebbero tratto vantaggio dal raggiungimento di un accordo, poiché la contrapposizione continua nei maggiori settori produttivi e strategici richiedeva un incredibile dispendio di risorse, ma nonostante questo per quarant’anni le superpotenze gareggiarono senza sosta, lasciando sul campo numerose vittime, in ogni senso intese.

I due ricercatori hanno condotto un’indagine per le strade americane, per valutare le posizioni dei partecipanti su una reciproca riduzione delle armi da parte dei due Stati. La proposta è stata presentata in triplice forma: ipoteticamente scritta dal Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan, da uno Stato neutrale e dal Presidente dell’URSS Mikhail Gorbachev.

I risultati hanno mostrato come gli intervistati valutassero positivamente la proposta quando veniva attribuita agli Stati Uniti, meno da uno stato neutrale e negativamente quando era legata all’Unione Sovietica. La svalutazione reattiva ha causato valutazioni distorte della proposta, accentuate soprattutto dalle associazioni negative che circondavano l’Unione Sovietica.

Il consiglio è ricordarsi quanto la svalutazione reattiva, benché sembri utile a proteggerci, nella maggior parte dei casi rema invece contro i nostri migliori interessi.

Laura Mondino

Fonti:

  1. Maoz, I., Ward, A., Katz, M., Ross, L. (2002). Reactive Devaluation of an “Israeli” vs. “Palestinian” Peace Proposal. Journal of Conflict Resolution, 46(4), 515–546.
  2. Ross, L., Stillinger, C. (1991), Barriers to Conflict Resolution, Negotiation Journal, 7(4), 389–404.
  3. Ross, L., Ward, A. (1995), Psychological Barriers to Dispute Resolution, In M.P. Zanna (Ed.), Advances in Experimental Social Psychology (Vol. 27, pp. 255–304), Academic Press
  4. Kahneman, D., Tversky, A. (1979), Prospect Theory: An Analysis of Decision under Risk, Econometrica, 47(2), 263–291
  5. Kahneman, D. (2013), Thinking, Fast and Slow (1st Edition). Farrar, Straus and Giroux.
  6. Ward, A., Atkins, D. C., Lepper, M. R., Ross, L. (2011), Affirming the Self to Promote Agreement With Another: Lowering a Psychological Barrier to Conflict Resolution, Personality and Social Psychology Bulletin, 37(9), 1216–1228.
  7. Ross, L. (1995). Reactive Devaluation in Negotiation and Conflict Resolution. In K.J. Arrow, R. D. Ros, L. Ross, R. H. Mnookin, A. Tversky, & R. Wilson (Eds.), Barriers to Conflict Resolution, W.W. Norton & Company.

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