L’intuito è esperienza tradotta in azione

Tempo di lettura: 9 minuti

Vi racconterò una storia. Una storia che parla di uomini e di macchine. E di come un ingegnere salvò il mondo da un’apocalisse nucleare, facendo una scelta che sebbene molti credettero dettata dal cuore, fu in realtà il risultato naturale dell’esperienza.

25.09.1983

Correva l’anno 1983, si era in piena Guerra Fredda e un uomo di cui la maggior parte del mondo non aveva mai sentito parlare, sarebbe diventato il più grande eroe di tutti i tempi.

Era la notte del 25 settembre, quando un colonnello di 44 anni della sezione spionaggio militare dei servizi segreti dell’Unione Sovietica giunse al proprio posto di comando al Centro di allerta precoce, da dove coordinava la difesa aerospaziale russa.

Suo compito era analizzare e verificare tutti i dati provenienti da un satellite, in vista di un possibile attacco nucleare americano. Per fare ciò, aveva a disposizione un protocollo semplice e chiaro, redatto da lui stesso. Dopo appropriati controlli, se positivi, era suo preciso dovere allertare il superiore, che avrebbe immediatamente dato inizio a un massiccio contrattacco nucleare su Stati Uniti e Paesi alleati.

Poco dopo mezzanotte, alle 12.14 del 26 settembre del 1983, tutti i sistemi di allarme scattarono e sugli schermi comparve: “Attacco imminente di missile nucleare“. Un missile era stato lanciato da una delle basi degli Stati Uniti.

L’ufficiale verificò i dati, richiedendo conferma dalla veduta aerea, l’unica che il satellite non aveva potuto confermare a causa delle condizioni atmosferiche. Nonostante le conferme, concluse che doveva essersi verificato un errore: non era logico che gli USA lanciassero un solo missile se davvero stavano attaccando l’Unione Sovietica.

Così ignorò l’avviso, considerandolo un falso allarme. Poco dopo, però, il sistema mostrò un secondo missile. E poi un terzo.

Dal secondo piano del bunker poteva vedere, nella sala operativa, la grande mappa elettronica degli Stati Uniti con la spia lampeggiante indicante la base militare sulla costa est, da cui erano stati lanciati i missili nucleari.

In quel momento, il sistema indicò un altro attacco. Un quarto missile nucleare e immediatamente un quinto.

In meno di cinque minuti, cinque missili nucleari erano stati lanciati da basi americane contro l’URSS. Il tempo di volo di un missile balistico intercontinentale dagli Stati Uniti era di soli venti minuti.

Dopo aver rilevato l’obiettivo, il sistema di allarme doveva passare attraverso 29 livelli di sicurezza per conferma; l’ufficiale cominciava ad avere forti dubbi man mano che venivano superati i vari livelli di sicurezza. Sapeva che il sistema poteva avere qualche malfunzionamento. Ma poteva l’intero sistema essere in errore, per ben cinque volte?

Il principio di base della strategia della Guerra Fredda sarebbe stato un massiccio lancio di armi nucleari, una forza travolgente e contemporanea di centinaia di missili, non il lancio di cinque missili uno a uno. Doveva esserci un errore.

Errore o strategia?

E se invece non fosse così? Se fosse un’astuta strategia americana?

Il colonnello aveva cinque missili nucleari balistici intercontinentali in viaggio verso l’URSS e solo dieci minuti per prendere la decisione di informare o meno i leader sovietici… Era pienamente consapevole che se avesse segnalato ciò che tutti i sistemi stavano confermando, avrebbe scatenato la Terza Guerra Mondiale.

Centoventi tra ufficiali e ingegneri militari aspettavano la sua decisione. Mai prima nella Storia, né dopo, il destino del mondo sarebbe più stato nelle mani di un solo uomo come lo fu in quei dieci minuti. Il futuro del mondo dipendeva dalla sua decisione, mentre negoziava con sé stesso se premere o meno il “bottone rosso”.

Rifletté: “Gli Americani non sono ancora in possesso di un sistema di difesa missilistico e sanno che un attacco nucleare all’URSS equivale all’annientamento immediato del proprio popolo. E benché diffidi di loro, so che non sono dei suicidi”. Il colonnello sapeva che, se si fosse sbagliato, un’esplosione 250 volte maggiore rispetto a quella di Hiroshima si sarebbe scatenata su di loro entro pochi minuti, ma riuscì a mantenere il sangue freddo e ad avere il coraggio di ascoltare il proprio istinto e conformarsi alla conclusione logica suggerita dal buonsenso.

Decise di segnalare un malfunzionamento del sistema.

Paralizzati, i 120 uomini al suo comando contarono i minuti che mancavano ai missili per raggiungere Mosca. Fino a che, a pochi secondi dalla fine annunciata, le sirene smisero di suonare e le spie di allarme si spensero.

Aveva preso la decisione giusta. E salvato il mondo.

Quest’uomo, il tenente colonnello Stanislav Petrov, si è trovato di fronte a una scelta. Quella di escludere la razionalità di una macchina a fronte dell’istinto proprio di un essere umano. E ha avuto ragione.

Era il 1983 e un uomo di cui la maggior parte del mondo non aveva mai sentito parlare sarebbe diventato il più grande eroe di tutti i tempi.

Intuito, esperienza, azione

Quello che in realtà pochi sanno è che la scelta di Petrov è stata molto più ragionata di quanto romanticamente ci piace pensare. L’intuizione, se così la vogliamo chiamare, di Petrov non aveva nulla di magico: la scelta è stata il risultato naturale e diretto dell’esperienza.

Per usare le parole dello psicologo americano, consulente dei Marines e dell’Esercito, nonché esperto di processi decisionali nelle emergenze Gary Klein: “L’intuito è esperienza tradotta in azione. Il segreto è tutto nella traduzione”.

Quando ci troviamo a prendere una decisione in una situazione di emergenza, nella testa scatta un campanello di allarme che, come è successo a Petrov, ci fa agire di impulso. Le esperienze vissute vengono inconsciamente legate insieme per formare uno schema. Nel momento in cui viviamo una nuova situazione, questa genera agganci che portano al riconoscimento di schemi già collaudati. Riconosciuto il pattern, appare chiaro il senso della situazione. Chi prende decisioni d’intuito spesso non si rende conto né di aver deciso qualcosa né cosa lo ha portato a quelle determinate scelte, l’azione è immediata e senza esitazione.

L’esperienza è un fattore fondamentale, ma non sufficiente. Klein è riuscito a identificare la natura e lo scopo dei vari processi mentali di selezione, processi mentali rapidissimi che si basano sul sensemaking: dare senso (interpretare) a tanti piccoli indizi e particolarità legati alla situazione con cui si confrontano.

Da qui nasce la definizione di Klein “l’intuito è esperienza tradotta in azione”, ossia la connessione fra l’interpretazione del contesto e la successiva immediata azione. Più esperienze abbiamo in un determinato campo, più siamo portati a riconoscere rapidamente (il più delle volte a livello inconscio) quegli indizi, quelle particolarità che ci portano a inquadrare la situazione (sensemaking) e a scegliere il tipo di azione che riteniamo più adatto.

Epilogo


Non fu un epilogo felice quello di Petrov. La Russia non potendo permettere che gli Stati Uniti e il popolo russo venissero a conoscenza di quanto successo, ammonirono l’ufficiale per non essersi conformato al protocollo e lo trasferirono a una posizione di gerarchia minore. Poco dopo fu mandato in pensionamento anticipato.
Ha vissuto il resto della vita in un modestissimo bilocale alla periferia di Mosca, sopravvivendo con una misera pensione di 200 dollari al mese, in assoluta solitudine e anonimato. Fino a quando, nel 1998, il suo comandante in capo, Yuri Votintsev, presente quella sera, ha rivelato l’accaduto, il cosiddetto “incidente dell’equinozio d’autunno” causato da una rarissima congiunzione astronomica, in un libro di memorie che accidentalmente arrivò fino a Douglas Mattern, presidente dell’organizzazione internazionale per la pace “Associazione di cittadini del mondo”.

Dopo aver verificato la veridicità della storia, Mattern è andato di persona in cerca di questo eroe sconosciuto, per consegnargli il “Premio Cittadino del Mondo”. L’unico indizio su dove trovarlo l’ebbe da un giornalista russo, che lo aveva avvertito che avrebbe dovuto andare senza un appuntamento, perché né il telefono né il campanello funzionavano. Trovarne traccia, in una fila enorme di grigi complessi condominiali a 50 chilometri da Mosca, non fu facile.

Uno degli abitanti a cui chiese informazioni rispose: “Lei deve essere pazzo. Se esistesse davvero un uomo che ha ignorato un avviso di attacco nucleare degli Stati Uniti, sarebbe stato giustiziato. A quel tempo non esisteva una cosa come un falso allarme in Unione Sovietica. Il sistema non sbagliava mai. Solo il popolo”.

Al secondo piano di uno degli edifici, riuscì a rintracciare l’ufficiale, che si affacciò, la barba lunga e trasandato. Dopo aver raccontato la storia, quest’uomo vi direbbe: “Non mi considero un eroe; solo un ufficiale che ha compiuto il proprio dovere secondo coscienza in un momento di grande pericolo per l’umanità. Ero solo la persona giusta, nel luogo e nel momento giusto.”

Dopo essere venuti a conoscenza di questo evento, esperti di Stati Uniti e Russia hanno calcolato quale sarebbe stata la portata della devastazione in base all’arsenale a loro disposizione al tempo. E sono arrivati a un’agghiacciante conclusione: dai tre ai quattro miliardi di persone, direttamente e indirettamente, sono stati salvati dalla decisione presa da quest’uomo quella notte.

La faccia della terra sarebbe stata sfigurata e il mondo che conosciamo, finito”, ha detto uno degli esperti.

Per questo motivo, essere consapevoli di come prendiamo decisioni può fare la differenza.

Laura Mondino

Fonti:

  1. Klein G., Intelligenza Intuitiva, Guerini e Associati, 2006
  2. Gigerenzer G., Decisioni intuitive, Raffaello Cortina Editore, 2007
  3. Kahneman D., Tversky A., Judgement under uncertainty. Heuristics and biases, Science, 185, 1974

Bias collegato: