Nei panni di…

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La storia di una vita è costellata di entrate e uscite dal palcoscenico dove si giocano – come nel verbo inglese to play riferito anche al recitare – tutte le interpretazioni della nostra esistenza. Il primo grande atto è quello dell’infanzia dove entriamo da protagonisti, nei panni di Bambini con la B maiuscola, segno della nostra dignità di nuovi esseri umani, e usciamo facendo svolazzare le tende delle “quinte”, giovani insofferenti ed eccitati per la libertà che ci attende. La letteratura, il cinema e anche la narrazione sociale ci hanno abituato a considerare questo snodo come il nostro vero cambio d’abito, il momento dove lasciamo il passato per vestire i panni del futuro.

Che cosa c’è dopo? Che cosa scorre in una sequenza di anni, di lustri, di decenni che si svolgono all’insegna di una routine di impegni personali e professionali? Ognuno potrà rispondere in modo diverso. Personalmente ho vestito e svestito molti panni, alcuni per scelta, altri per necessità. In un mondo del lavoro che i teorici amano definire “liquido” ho interpretato diversi ruoli. Sono stata, con gli splendidi voli pindarici dell’italiano e dell’inglese:

  • “Redattore ordinario” con orari straordinari.
  • “Critico cinematografico” che è per definizione qualcuno che non ha orari. In compenso si diverte parecchio e incontra un sacco di gente interessante.
  • “Esercente cinema”, senza possedere una sala di proiezione. I misteri del lavoro per ottenere il permesso di vedere i film gratis.
  • Senior writer”. Strano ma vero, il “junior writer” non esiste, prima sei semplicemente writer, il graffitaro… Wow!
  • “Giornalista”. Tutti si inchinano, tu sorridi e pensi agli altri dieci incarichi che devi sostenere per fare la spesa.
  • “Maestra di cinema”, come mi hanno ribattezzato poeticamente i bambini di una classe che ha lavorato per un anno sul colore nel cinema di animazione.
La storia di una vita è costellata di entrate e uscite dal palcoscenico dove si giocano – come nel verbo inglese to play riferito anche al recitare – tutte le interpretazioni della nostra esistenza

La lista sarebbe troppo lunga, dovrei aggiungere i titoli conquistati in famiglia, dove realizzo splendidi modelli in taffetà per esibirmi in valzer pittoreschi per un piccolissimo cavaliere diffidente. Mi domando sempre quali siano i miei veri panni o se, come affermano ancora i teorici, alla fine abito e identità coincidono.

Ricopro il mio attuale incarico di Direttore del Magazine di Comunicazione Strategica con senso di gratitudine. Qui l’abito non è pronto, viene perfezionato e co-progettato ogni giorno. Le mie stiliste sono laureate, brillanti e organizzate, campionesse olimpiche dei social-media. Nei loro panni sarei contenta di sapere che il Direttore non vive di vita propria, esiste solo perché sono proprio loro ad autorizzarlo a prendere una direzione piuttosto che un’altra.

In questi nuovi panni, riadattati, aggiustati e spolverizzati di brillantini costantemente, leggo con occhi curiosi e attenti i contributi che più di sessanta collaboratori portano alla mia attenzione ogni settimana. Mi offrono in dono tanti tasselli che, riordinati, compongono un puzzle interessante: la nostra madrelingua, una lingua marginale, eppure amatissima in ogni Paese, ha ancora molto da dire sul mondo che stiamo vivendo e sa descrivere perfettamente con parole proprie i sottintesi allusivi dei tecnicismi dell’American English. Il quadro così ricomposto mostra anche che la comunicazione autentica va studiata e praticata, non può più giocare un ruolo complementare, perché fonte di comprensione nella complessità, di negoziazione e quindi di reddito. Su tutto spicca, tuttavia, il nostro continuo calarci nei panni di chi maggiormente ci appassiona. Ogni collega della mia amplissima redazione ha mostrato, nella scelta dei temi da trattare, il vestito migliore che ha, dove esercita al meglio le proprie competenze e dove mette entusiasmo e passione. Tutti hanno fatto riferimento alla propria esperienza e al proprio privato, alle proprie sfide quotidiane. La scrittura, il filo sottile che cuce insieme le tante parti di noi e disegna la nostra dimensione più autentica, ci consente finalmente di non recitare una parte, ma di entrare negli abiti più comodi che abbiamo; sono anche i più eleganti e, ogni giorno, qualcuno li rimette a modello perché siano sempre attuali. Come nuovo Direttore sono contemporaneamente il sarto e il modello, entro ed esco da questi panni con disinvoltura per afferrare ora un ago, per rifinire una frase, ora un paio di forbici, per togliere qualcosa di troppo, e tuttavia sono ogni volta al di sopra di queste parti, come ognuna delle persone che lavora con me. Se fossi nei panni di ciascuna firma di questo Magazine, sarei felice di essere semplicemente me stesso.

Cecilia M. Voi