Come nasce la necessità di raccontarsi: dall’Homo Fictus allo storytelling museale – Prima parte

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Se oggi riusciamo a riconoscere l’importanza dell’accesso alla cultura, se intendiamo il museo come centro di coesione sociale, un interlocutore della comunità e se vediamo i suoli pubblici come una comunità interpretante[1], possiamo capire la rilevanza di concepire il museo come un insieme di storie.

Oggi il museo è paragonabile a un organismo culturale vivo, pienamente investito di nuovi compiti e finalità, spogliato dalla sua immagine precedente quella di “vetrina impolverata” che, come direbbe Valéry, trasmette uno strano disordine organizzato, un orrore sacro dove il passo si fa religioso, una solitudine cerata.

Il museo oggi non è più esclusivamente un contenitore che conserva ed espone oggetti d’arte, ma uno spazio socialmente attivo chiamato a favorire il confronto e la partecipazione. Il suo ruolo sociale e politico, il funzionamento del suo operare sono cambiati nel corso della storia e dei suoi visitatori. Ogni luogo culturale contemporaneo, non esclusivamente il museo, oggi si trova sempre nella condizione di nuova ricerca, mutamento e sfida.

La “narrazione”, in questo contesto, si sta rivelando non solo come uno strumento efficace per la mediazione del patrimonio culturale, ma soprattutto come una grande risorsa per alfabetizzazione critica e cittadinanza attiva: questo significa che affinché il museo acquisisca o mantenga un significato, è necessario per la sua stessa sopravvivenza inaugurare un confronto e un dialogo con i luoghi e le comunità nei quali è inserito.

Il museo non è solo un contenitore di oggetti d’arte ma uno spazio socialmente attivo chiamato a favorire il confronto e la partecipazione

Per capire meglio lo sviluppo del “raccontare” e “raccontarsi” di un luogo culturale, possiamo fare un passo indietro, un breve excursus di natura storico-filosofica che può essere interessante per comprendere il perché di questa esigenza.

Già nel 1700, Gian Battista Vico, creò una scienza, il nome della quale si ricorda come Scienza Nuova, la scienza dell’immaginario, che era in grado di comprendere e spiegare la«co-apparenza di verità e finzione come la necessità per la costruzione di un mondo dotato di senso». Così gli immaginari, i miti, le favole, i racconti e le novelle praticati dall’uomo diventano l’oggetto di riflessione del pensatore napoletano e in seguito di molti altri, poiché solo in essi il pensiero poteva trovare il suo compimento. Nella riflessione vichiana l’unità umana si costituisce sulla “favola dell’uomo”, ovvero sull’atto dell’immaginare sé stessi e raccontarsi.

Partendo da queste riflessioni nasce la definizione dell’uomo “generatore di esperienze immaginarie” o Homo Fictus. Come spiega Francesco Monico nel suo libro Fragile. Un nuovo immaginario del progresso (Meltemi, 2020), Homo Fictus è l’uomo nella sua qualità essenziale, tendente a cercarsi nelle rappresentazioni romanzate, di parlare, di costruirsi sui linguaggi e l’interpretazione di essi, è un uomo narrativo, che ha bisogno di grandi e piccole narrazioni per creare i mondi da abitare, esiste per generare esperienze immaginarie che per sono una necessità.

Queste necessità toccano quotidianamente le sfere di fruizione culturale e produzione artistica. Da qui il tentativo degli enti culturali di instaurare dialoghi duraturi, conversazioni interessanti e narrazioni coinvolgenti con il proprio pubblico. I musei, nella diversità delle loro collezioni, siano queste di arte, moderna, antica o contemporanea si impegnano nell’indispensabile processo di rinnovamento proprio sul terreno della comunicazione con i propri visitatori, a loro volta sempre più attratti dalla capacità del museo di raccontare storie nelle quali immedesimarsi.

Jekaterina Kanevskaja


[1] Il concetto di comunità interpretante o interpretive community, nasce dopo la seconda metà del ’900, nel contesto della critica letteraria e della semiotica; esso venne coniato da Stanley Fish, studioso americano di teoria letteraria ed ermeneutica, il quale propose una visione della lettura come un qualcosa la cui natura è costruita, in cui il lettore è soggetto attivo e non mero recettore di un messaggio.