Essere Accoglienza – Intervista a Silvia Pellegrini

Tempo di lettura: 6 minuti.

Qual è il suo percorso professionale?
Di fatto è iniziato all’università, dove ho incontrato l’uomo che oggi è mio marito. E non è una battuta: formalmente il mio percorso è partito in Banca al Credito italiano, prima come sportellista e poi come funzionario. Ma dopo il primo figlio, ho deciso di mettermi in aspettativa per dedicarmi alla famiglia. Nonostante un’ottima prospettiva di crescita professionale, ho scelto la famiglia, il luogo di formazione più importante per me. Poi, quando, i miei tre figli sono cresciuti, ho deciso di sviluppare la mia vocazione, quello che mi ha sempre appassionato, ovvero le relazioni. Sono stati anni di studio straordinariamente appassionanti: e sono diventata coach e counseling nello sviluppo delle potenzialità umane.

Di cosa si occupa al Master di Intrecci – Accademia di Alta Formazione di Sala?
Intrecci non è solo un’Accademia di Sala: ci viene spesso naturale affermare che è una scuola di vita. E io ho il privilegio di accompagnare i ragazzi sia in aula, sia in un particolare percorso di coaching e di orientamento personalizzato. In aula lavoriamo molto sulle dinamiche relazionali: cosa significa accogliere? Quali dinamiche vanno messe in atto per rendere un incontro un’esperienza positiva, un luogo dove la persona si senta a suo agio? Si tratta di un percorso tutt’altro che facile: perché per diventare un “buon incontro” per gli altri, bisogna esserlo innanzitutto per se stessi. Noi abbiamo a disposizione tante intelligenze, e una delle più importanti è quella emotiva. E allora diventa fondamentale capire come possiamo utilizzarla al meglio, come possiamo esprimere la nostra sensibilità per risolvere un problema o per far innamorare gli altri della nostra idea; come si fa squadra; cosa ci spinge ad essere più efficaci, più credibili, più congrui. Proviamo insieme a capire che la nostra esperienza della realtà non è la realtà, ma una percezione soggettiva della realtà e che nell’incontro con l’altro dobbiamo aprirci sospendendo il giudizio. Lavoriamo sul concetto che vicino a un sapere e a un saper fare c’è anche il saper essere: un conto è fare accoglienza e un conto è essere accoglienza

Quali tematiche emergono in un dialogo privato?
Una delle più frequenti è il giudizio degli altri. I ragazzi faticano molto ad esprimere i propri desideri sapendo che saranno sottoposti al giudizio di chi li circonda. Io suggerisco sempre di porsi queste due domande: “qual è la mia vocazione?”, “cosa mi rende felice?”. Quando dialogo con i ragazzi, prendo molto più io da loro che non loro da me. 

Silvia Pellegrini, Coach.

Che elementi di valore nota nelle nuove generazioni?
Intorno a questo tema, emergono continuamente luoghi comuni. I ragazzi di adesso sono molto profondi, attenti a ciò che si dice loro e a ciò che vedono. Apprendono immediatamente se chi sta davanti a loro è appassionato. Hanno tanta voglia di capire quale sia la loro strada e cercano di rispondere alla domanda fondamentale: “qual è il mio senso in questo mondo?”, che rappresenta l’unicità di ognuno di noi. Sono alla ricerca della loro vocazione e del loro desiderio. Come dice la parola stessa, de-sidus (senza stella), sono “nel nulla”. Non c’è una pausa, un silenzio dove la domanda rimane sospesa, ma c’è una ricerca. È importante per i ragazzi anche stare nella solitudine della domanda, trovare del tempo per potersi fare questa domanda. È un percorso molto impegnativo, e per alcuni, molto doloroso. Ma è un investimento straordinario.

Cosa può fare chi si occupa di educazione per gestire l’emergenza educativa?
Allenare la curiosità dei ragazzi per fare in modo che continuino il loro percorso scolastico e credere che potranno farcela, poiché tutti noi riflettiamo su noi stessi ciò che crede l’altro: i ragazzi riusciranno a farcela se noi crediamo che sarà così. Ognuno ha un proprio modo di apprendere: abbiamo tempi diversi, interessi diversi e modalità diverse di appassionarci.

Che suggerimenti darebbe a un giovane che sta per entrare nel mondo del lavoro di sala?
Credo che si debba trovare un senso alla persona che si vuole essere. La scelta di un lavoro è una cosa importante. Trovare senso nelle difficoltà è la sfida più grande. Lavorare in sala è molto impegnativo, sebbene non sia considerata una professione di alto livello. Eppure, tutti noi siamo colpiti quando incontriamo persone preparate, eleganti, che amano il proprio lavoro, che servono il piatto con il sorriso! Bisogna avere la consapevolezza di chi si vuole essere e di che segno si vuole lasciare nel mondo. Insomma, ad un giovane direi: sappi che non è tutto oro quello che luccica; sappi che il tuo obiettivo potrebbe avere un percorso tortuoso: trova il modo migliore per raggiungerlo!

Luca Brambilla