Le domande scomode (e illegali) durante i colloqui di lavoro

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L’obiettivo di un colloquio di selezione è quello di conoscere in profondità il candidato in modo da reperire quante più informazioni possibili sulla sua idoneità al ruolo. Si tratta di un’operazione molto delicata che richiede un alto livello di professionalità e alcune piccole conoscenze giuridiche.

Può succedere che i responsabili delle risorse umane o i datori di lavoro, invece di concentrarsi sulle caratteristiche legate alla posizione lavorativa, allarghino il raggio invadendo anche la sfera personale del candidato. A tal proposito è bene sapere che esistono alcune domande che non solo possono apparire inopportune, ma sono addirittura vietate dalla legge.

Le domande illegali sono quelle che ledono la privacy o che contengono al loro interno dei giudizi discriminatori. Anche se fatti in buona fede, questi quesiti possono essere male interpretati dal candidato che può avvalersi della facoltà di non rispondere e, in casi estremi, procedere per vie legali.

L’articolo 10 del Decreto Legislativo 276 del 2003 vieta a chi conduce il colloquio di porre domande sulle seguenti tematiche:

  • affiliazione sindacale e politica e credo religioso
  • situazione sentimentale e famigliare
  • handicap e stato di salute
  • controversie con precedenti datori di lavoro

Analizziamo dunque ciascuna di queste categorie.

  1. Affiliazione sindacale e politica e credo religioso

Esempi: “È religioso?”, “Di che partito è?”.

La legge vieta di chiedere durante un colloquio informazioni sull’ideologia politica e sulla fede religiosa del candidato. Oltre all’art. 10 del Decreto Legislativo 276 del 2003, a vietare di fare domande sulla politica o sull’appartenenza religiosa è l’art. 8 dello Statuto dei diritti del Lavoratore[1].

Informazioni riguardanti la religione o la preferenza politica non hanno nulla a che vedere con l’idoneità a svolgere un certo ruolo, e rischiano di essere la causa di immotivate discriminazioni.

  • Situazione sentimentale e famigliare

Esempi: “È sposato/a?”, “È fidanzato/a?”, “Ha figli?”, “Vorrebbe averne?”.

Domande relative ai rapporti personali e famigliari, sebbene siano piuttosto frequenti, sono vietate. Secondo l’art. 27 del Codice delle Pari Opportunità[2] “è vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso […]”.

L’articolo prosegue affermando che si parla di discriminazione anche attraverso domande inopportune sullo stato di maternità/paternità, sulla presenza di figli e sulla volontà ad averne. A subire questa indelicatezza sono specialmente le donne, a cui troppo spesso viene posta la domanda sulla presenza o volontà di avere figli, poiché considerati come un ostacolo alla carriera. È bene inoltre sapere che le donne che sostengono un colloquio in dolce attesa non hanno l’obbligo di comunicare la propria condizione. Tuttavia, si consiglia di essere onesti e trasparenti su questo aspetto, per non ledere fin da subito la propria credibilità.

  • Handicap e stato di salute

Esempi: “Soffre di depressione?”, “Sta seguendo una cura?”.

L’art 10 del Decreto Legislativo 276 del 2003 rende illegittime domande legate alla propria condizione fisica e psicologica. Per quanto la sanità mentale di un individuo possa in qualche caso influenzare le sue prestazioni lavorative, domande di questo genere violano le norme sulla privacy.

È vietato anche chiedere al candidato se possiede disabilità, a eccezione delle persone appartenenti alle categorie protette, che devono dichiarare la loro condizione sul proprio CV. Solo in questo caso eccezionale, domande sul tipo di disabilità sono concesse, poiché sostengono il lavoratore nella ricerca di un’occupazione idonea alla sua condizione.

  • Controversie con precedenti datori di lavoro

Esempio: “Ha mai avuto problemi con il suo precedente capo?”

Il già citato art. 10 del Decreto Legislativo 276 del 2003, afferma che i soggetti a cui è affidato il ruolo della selezione di risorse umane non possono porre domande su eventuali controversie con superiori antecedenti, a meno che informazioni di questo tipo non costituiscano un requisito essenziale e ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa.

In generale, possiamo dire con certezza che i colloqui di selezione dovrebbero concentrarsi su un unico elemento: il lavoro. Informazioni non attinenti all’attitudine professionale sono senza dubbio fuori luogo. È sicuramente confortante sapere che il rispetto della riservatezza del candidato non dipende solo dal buon senso o dalla sensibilità dei recruiter, ma è anche tutelato dalla legge.

Greta Mezzetti


[1] https://www.aidp.it/aidp_be/ALLEGATI/DOC/7/NL_tutela_pensiero_lavoratori_CANDELA.pdf

[2] https://www.brocardi.it/codice-delle-pari-opportunita/libro-iii/titolo-i/capo-ii/art27.html