Tre regole per le collaborazioni su Facebook, Linkedin e il digital

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Da tempo, anche durante cene e incontri pubblici, vengo bombardato da e-mail che ripropongono il medesimo ritornello:

“Grazie al digital si possono fare affari incredibili perché si può raggiungere chiunque”.

Ho deciso così di investire un mese intero del mio tempo per conoscere esperti di digital, corsi sulla pubblicità online e ogni possibile argomento correlato che potesse venirmi in mente. Condivido con voi quanto emerso da questa mia ricerca e mi permetto, come sempre, di dare un suggerimento (non) richiesto.

Il primo aspetto riscontrato è stata la triste scoperta che esiste un divario enorme tra “possibilità di affari incredibili” e l’effettiva realizzazione di questi. Quasi tutti i personaggi da me incontrati, infatti, stanno guadagnando ben poco e, oltre a ciò, i contratti che concludono sono, nella quasi totalità dei casi, legati a consulenze richieste per lo storytelling delle famose possibilità incredibili. Quando si prova a interrompere il flusso dei loro aneddoti proponendogli di dividere i costi e i guadagni dall’eventuale successo della campagna Facebook, Linkedin e altri eventuali social, vi ritroverete di fronte dei visi tra lo stupito e l’impaurito.

Un secondo elemento emerso, che spesso viene raccontato con troppa semplicità, è quello relativo ai bassi costi di investimento. Se da una parte, infatti, è pur vero che si possono raggiungere molte persone attraverso le sponsorizzazioni, dall’altra, costruire un vero e proprio sistema di promozione richiede la collaborazione o l’ingaggio di professionisti quali videomaker, fotografi, esperti di marketing online, social media manager e coordinatori di queste figure. Solo dopo aver valutato il quadro completo si può quindi comprendere che l’investimento sui social è molto più oneroso e complesso di quanto non si possa sospettare in precedenza.

Tre regole per le collaborazioni su Facebook, Linkedin e il digital

Il terzo e più importante aspetto riscontrato che vorrei condividere è quello relativo al nesso digital-contenuto. Personalmente ritengo che chi si occupa di digital sottovaluti fortemente la propria ignoranza in riferimento al prodotto che va venduto tramite social. Troppe volte ho visto infatti applicare la stessa (banale) strategia, che può essere sintetizzata così: più persone guardano il prodotto, più c’è possibilità che qualcuno lo acquisti. Peccato che così facendo si pongano tutti i prodotti, indistintamente, sullo stesso piano e una bottiglia di Dom Perignon viene presentata nello stesso modo in cui viene presentata una lattina di Coca-Cola.

I migliori venditori, e in qualità di formatore posso confermarlo, sono coloro che amano il prodotto che propongono. Sono persone che ne conoscono il valore, i molteplici usi e anche i piccoli difetti, probabilmente proprio perché ne sono i primi utilizzatori. Chi invece propone online i prodotti di altri rischia di utilizzare trovate pubblicitarie a forte impatto emotivo che, tuttavia, non esprimono il valore reale dell’oggetto proposto.

Conclusione? La pubblicità successiva scatena un nuovo picco emozionale che cancella quello precedente e così via, fino al raggiungimento della soluzione commerciale più adatta, ovvero quella che ne sottolinea gli aspetti significativi e i vantaggi nel tempo.

In conclusione mi permetto di condividere questo suggerimento a chi necessita di padroneggiare questa tecnologia, perché ha un blog come me, perché si occupa di e-commerce o perché vuole raggiungere la tanto agognata visibilità: collaborate solo con persone che rispettano le seguenti prerogative. La prima è saper ascoltare e comprendere degnamente la storia del vostro brand e il prodotto che proponete sul mercato; la seconda è essere nettamente più forti di voi sui social perché così eviterete di essere consigliati da improvvisati storyteller; la terza è che chiedano un minimo garantito per il lavoro e una percentuale sul guadagno dell’operazione, diventando così soci di progetto. In questo modo, anche se fallirete, potrete almeno consolarvi con il detto “Mal comune, mezzo gaudio”.

La Redazione