Barriere all’inclusività nel settore medico

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Nel pomeriggio del 28 marzo si è tenuto il secondo incontro del ciclo di webinar “Elementi base di una comunicazione accessibile e inclusiva”, organizzato dal Centro Studi di Comunicazione Strategica e dal suo Direttore, la dott.ssa Eva Filoramo, e moderato del Vicedirettore di ACS Editore, Carlo Sordini. Ad intervenire è stata la dott.ssa Silvia Barra, traduttrice e scrittrice tecnica specializzata in ambito medico e farmacologico, per discutere dell’inclusività nella medicina

Il titolo stesso di questo secondo appuntamento, “Siamo tutti pazienti”, giocando sull’ambivalenza del termine ha costituito l’emblema della problematica che si è toccata durante questo confronto: la “pazienza” che si deve avere nel vestire i panni di pazienti. 

«Quando si parla di inclusività, spesso si pensa a quella di genere. In realtà, anche non creare delle barriere tra medico e paziente è inclusività, che significa rispettare appieno i diritti dei propri pazienti: quello ad essere curati e quello di conoscere e comprendere il proprio stato di salute», dice la dott.ssa Barra.

Le situazioni di esclusione in medicina, benché se ne parli poco, sono molteplici. Un tipo di esclusione, ad esempio, ha a che fare con le condizioni socioeconomiche dei pazienti…e non serve pensare agli Stati Uniti o alla Svizzera, dove non esiste un sistema sanitario pubblico, per accorgersene! Anche nel nostro Paese, infatti, a causa di vari fattori (tra cui i tempi lunghi d’attesa della sanità statale), sempre più spesso solo le persone più abbienti riescono ad accedere rapidamente alle cure di cui necessitano avendo la disponibilità economica per recarsi da specialisti che operano come privati.

Legata all’aspetto socioeconomico è anche la condizione di vita delle persone: chi è più ricco può permettersi di abitare in quartieri cittadini migliori dal punto di vista qualitativo o di condurre uno stile di vita più sano e salutare. Tutti elementi, questi, che incidono sicuramente sullo stato di salute e sulla capacità di ammalarsi. 

C’è, poi, l’esclusione di quei pazienti che sono affetti da qualche forma di disabilità, sia essa temporanea o permanente, che si verifica – ad esempio – quando si utilizzano strumenti diagnostici che non sono per loro agevoli. A tal proposito, Silvia Barra riporta un dato rilevante e preoccupante: in Italia esistono solo quattro ambulatori dotati di un reparto di ginecologia per le donne con disabilità. 

Ma, forse, ancora di più si resta sorpresi quando si pensa che tutti i pazienti vivono un’esclusione quando la comunicazione dei medici non è chiara e non permette loro di capire la diagnosi effettuata sulla propria salute. A quanti, infatti, è capitato di non comprendere i termini dei referti medici e di aver bisogno di andare da un altro dottore per avere una spiegazione più chiara? Chi non ha mai riscontrato delle difficoltà a leggere la grafia sulle ricette mediche ritrovandosi a non sapere quale farmaco acquistare? Chi non hai mai pensato che per leggere un bugiardino ci volesse una laurea specifica? Il che è un paradosso se si considera lo scopo con cui viene inserito all’interno della scatola dei medicinali, ovvero quello di informare e dare istruzioni a coloro che ne fanno uso. 

Cosa succede, quindi, se le persone non capiscono cosa stanno dicendo i medici e non si sentono inclusi nel discorso che riguarda la loro salute?

Una delle conseguenze di questo scenario è sicuramente la perdita di fiducia e un allontanamento nei confronti dei professionisti sanitari, che, a sua volta, genera un impatto negativo sulla salute delle persone nel momento in cui piuttosto che recarsi dal dottore ricercano i propri sintomi su Google, facendosi un’autodiagnosi e assumendo i farmaci consigliati dalla comunità del web. 

Cosa potrebbero fare i medici per limitare o eliminare il verificarsi di tali situazioni? Ricordando che, come scrisse il sociologo Bauman, «il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di comunicazione», nella relazione con i propri pazienti, i dottori dovrebbero adottare un linguaggio meno tecnico e più inclusivo. Ciò non vuol dire non usare termini scientifici, ma avere l’accortezza e la voglia di spiegarli nella maniera più chiara possibile al paziente che si ha di fronte e sincerarsi, attraverso domande, che abbia compreso tutto e che torni a casa senza dubbi. 

Infine, l’inclusività in campo medico prevede anche di fare attenzione al “genere”. Non focalizzandoci ora sulla valenza politica e sociale della questione di genere, è utile sapere che esiste una medicina che distingue il genere maschile da quello femminile a livello fisiologico e anatomico in quanto – innegabilmente – donne e uomini hanno corpi diversi, metabolismo diverso, ormoni diversi e, quindi, reazioni diverse alle cure o medicine. 

Antonella Palmiotti