Come arte, lettura e Netflix aiutano ad acquisire le giuste “soft skills”

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Paolo Rotelli è presidente del Gruppo San Donato, una realtà che si occupa di gestire 18 ospedali e curare ogni anno 4 milioni e mezzo di persone per un fatturato di oltre 1,5 miliardi l’anno. Lo abbiamo incontrato per avere la sua opinione sul mondo del lavoro, su quali soft skills sono necessarie per superare la paura dell’ignoto e come approcciarsi al difficile tema del rapporto medico-paziente.

Quali sono i criteri necessari per approcciarsi a un’organizzazione così complessa?

Innanzitutto, non bisogna aver paura: è importante tenere a mente che queste entità non sono cose che esistono di per sé, ma sono la somma di tutti coloro che vi lavorano. L’organigramma di un’azienda è nulla, se prima non si sono comprese a fondo le dinamiche sottese alla collaborazione degli oltre 16mila dipendenti del Gruppo San Donato. Avere ben in mente queste realtà permette di capire e amministrare al meglio un’azienda come la nostra: invece di incontrare tutti e 16mila i nostri dipendenti, sarà sufficiente interfacciarmi con 400 responsabili, che non sono pochi, ma non sono nemmeno un numero ingestibile. Il segreto è comunque quello di approcciare ogni ospedale come una realtà a sé stante.

Il suo background di studi filosofici emerge molto bene dall’impostazione appena descritta. Come descriverebbe il rapporto tra studi filosofici e imprenditoria?

Come ho già detto, le aziende sono costituite da persone, e le persone non reagiscono solo ed esclusivamente agli aspetti meramente economici e legati alle leggi di mercato: se si vogliono gestire bene le persone non bisogna mai dimenticare che queste sono innanzitutto soggetti culturali fatti di emozioni. La filosofia è uno strumento potentissimo per la comprensione della natura dell’essere umano e deve essere costantemente declinata in chiave pragmatica per esprimere appieno il suo potenziale: il pensiero deve essere sempre correlato all’azione, tenendo sempre a mente che l’essere umano è qualcosa di ben diverso da quanto dipinto dai modelli economici standard, che ne esaltano la componente razionale, escludendo invece quella emozionale.

Un giovane come lei a capo di un’azienda tanto grande che suggerimenti si sente di dare ai giovani italiani?

Ancora una volta si parla di paura. La paura che i giovani provano nei confronti del mondo del lavoro deriva dal fatto che, come studenti, non hanno avuto modo di incontrarlo e conoscerlo adeguatamente: per questo ritengo che gli stage siano uno strumento utilissimo per sconfiggere la paura, e anche l’ignoranza, che i ragazzi hanno verso il mondo del lavoro. Personalmente ho sperimentato il modello di studio proposto in Francia, dove gli stage in azienda sono obbligatori. Le università italiane dovrebbero incrementare la funzionalità dei propri uffici di job placement, così come gli studenti italiani dovrebbero convincersi e impegnarsi a fare esperienze lavorative durante gli studi: è l’unico modo per comprendere appieno la differenza profonda che intercorre tra le dinamiche aziendali e quelle universitarie.

Quali sono, quindi, le soft skills su cui le persone dovrebbero lavorare di più?

Direi la sicurezza, che non va confusa però con l’arroganza. Questo è un insegnamento che, ancora una volta, si può trarre dalla filosofia antica: fu Aristotele a dire che “la virtù sta nel giusto mezzo”. Bisogna lavorare molto sulle proprie capacità di espressione, così da risultare sempre convincenti senza essere timidi o arroganti: basta anche solo provare a trovare il tono giusto quando si sta in compagnia di amici o famigliari. Prepararsi è importantissimo, perché il tono sbagliato può andare a suscitare reazioni emotive nell’ascoltatore che lo portano a non ascoltare quanto abbiamo da dire. È essenziale anche saper creare engagement, mettendo in risalto, ancora una volta, il lato umano: bisogna saper arrivare a toccare le corde emotive delle persone con cui parliamo. Io, per farlo, mi servo spesso dello storytelling.

Come funziona il rapporto medico-paziente e come può svilupparsi?

La user experience, ovvero come il paziente ci percepisce, è per noi un punto cardine. Sono tantissimi i fattori in gioco: dall’accoglienza, al personale, al cibo, e, sopra tutti questi aspetti, il rapporto che viene a instaurarsi tra il paziente e il medico. Da questo punto di vista il lavoro da fare è ancora tanto. Vogliamo migliorare la comunicazione con i pazienti, andando a studiare casi virtuosi di buona comunicazione con l’obiettivo di creare una formazione continua per i medici futuri e per quelli che già lavorano con noi.

Può raccontare di un suo errore o rimpianto e di come è riuscito a superarlo?

Sono una persona molto impulsiva, e se sono di cattivo umore mi rendo conto di non essere in grado di sviluppare quello storytelling efficace di cui abbiamo parlato prima. Proprio per questo cerco di evitare appuntamenti quando sono di cattivo umore: so che può sembrare una soluzione banale, ma, come dicevo prima, il successo è un insieme di tanti ingredienti, e se anche uno solo non va bene (nel mio caso, l’umore) il rischio è quello di rovinare tutto quello che invece di buono c’è. Le emozioni sono al centro della realtà umana, e in virtù di questo ruolo vanno sempre rispettate.

Come ci si relaziona con un fratello che è anche partner?

Abbiamo la fortuna di essere persone molto diverse che hanno sviluppato competenze complementari. I nostri difetti non coincidono e questo ci permette di creare una grande sinergia: dal confronto reciproco siamo sempre in grado di comprendere e lavorare sui rispettivi sbagli, e, quindi, di evitarli.

C’è un libro o un film che suggerirebbe per esaltare l’importanza delle soft skills?

Ho trovato molto interessanti i libri del professor Motterlini: mi hanno aiutato a capire l’importanza che l’amigdala riveste nei processi decisionali e hanno inoltre il merito di fornire basi scientifiche per tutto l’importantissimo discorso delle soft skills di cui abbiamo parlato fin ora. Apprezzo molto anche le serie tv di Netflix, che hanno il pregio, vista la loro qualità di scrittura, di far immedesimare a tal punto lo spettatore che il suo cervello riesce a vivere le vicende narrate come esperienze reali. Amare l’arte, la lettura e il cinema è un ottimo modo per fare esperienze.

Luca Brambilla

Fonte

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