Come le nuove tecnologie hanno cambiato il nostro modo di interpretare l’arte

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«Gli esseri umani creano le immagini per tenersi stretto ciò che amano e quello che stanno per perdere» disse una volta il curatore Massimiliano Gioni.

La capacità dell’uomo di elaborare le immagini, ovvero la storia del “segno” prima che esso evolvesse in un linguaggio figurativo che oggi chiamiamo “arte”, ebbe inizio circa 40-35.000 anni fa, quando Homo Sapiens Sapiens cominciò a introdurre nella propria routine ciò che un animale non fa: le forme di creatività e di espressione estetica. Queste ultime appaiono da subito come una pratica collettiva condivisa, anche se in un primo momento con una funzione meno poetica di quella attentamente osservata da Gioni.

A partire da quel momento l’uomo esprime quello che sente e rappresenta quello che vede attraverso l’arte, inizialmente sulle pareti e sui soffitti delle grotte, oggi mediante strumenti digitali e seguendo logiche completamente diverse.

Gli esseri umani utilizzano l'arte per esprimere quello che sentono e rappresentare quello che vedono mediante strumenti e logiche digitali.

L’inizio del secolo precedente ha dato l’avvio a un’esplosione mai vista prima di numerose e differenti correnti artistiche. Il Novecento ben presto progredisce con il culto delle macchine e la corsa al progresso, che sfociano in una cultura della produzione, sovrabbondanza e proattività. In seguito, l’avvento di Internet segna una digitalizzazione irreversibile e universale per giungere all’era di internet of things, che definitivamente inscatola tutto il passato tra megabyte, cloud e database.

La realtà che oggi caratterizza i nostri giorni è molto simile a un mare di immagini riprodotte e freneticamente condivise, associate alla cultura post-moderna. Grazie alla proliferazione di tutti i tipi di media, siamo abituati ad una sorta di “disturbo visivo”, un perenne rumore di fondo, che ormai difficilmente notiamo. Viviamo tra cartelloni pubblicitari aggressivi, imbattibili banner digitali, luci e rumori, stessa quantità di user generated content quante sono le dita degli esseri umani viventi sul pianeta.

In una realtà caratterizzata da accelerazione dei tempi, logorio degli stimoli visivi e conseguente superficialità, l’attenzione non è un punto forte. Soffermarsi è difficile, analizzare troppo a lungo ci costa letteralmente troppo caro.

La nostra risposta all’arte ne viene influenzata con la stessa forza con la quale essa oggi assorbe ogni divergenza tecnologica, cambiamento sociale e interpretazione individuale.

Così a passo svelto, durante una mostra, diamo una rapida occhiata ai dipinti, come fossero spuntini su un buffet. Se il tempo trascorso in un museo, invece, è uno dei pochi momenti di lentezza che ci possiamo permettere, ci soffermiamo ad ammirare un quadro, trascurando allo stesso tempo la moltitudine di opere esposte accanto ad esso. Sembra che abbiamo visto molti capolavori, ma a quanto pare non abbiamo ancora imparato a guardarli. Non è facile farlo oggi, ma l’arte non ha fretta di rivelare i suoi segreti. Oppure sì?

Anche se l’impatto di un particolare lavoro artistico sullo spettatore può essere immediato e forte, il risultato finale si rivela solo dopo un certo periodo di tempo, quando la prima impressione si è depositata nella mente. L’obiettivo delle nuove tecnologie per l’arte nella nostra attualità, è fortificare la prima impressione, perché tra un post su Facebook e un video su TikTok, è quella che determina il ricordo di un contenuto.

Se l’arte non ha fretta di rivelare i propri segreti, è l’uomo contemporaneo a volerli svelare con il minimo di sforzo e in breve tempo. Proprio in questo punto le esigenze fruitive incontrano i nuovi media che si impegnano ad aumentare, spiegare visivamente e porgerci l’arte in maniera interattiva, semplice e troppo spesso eccessivamente ludica.

Il percorso di comprensione dell’arte inizia con la percezione della sua forma esterna. I nostri sensi reagiscono principalmente agli elementi puramente visivi, come linea, colore, luce, composizione, struttura e volume. Questi elementi sono presenti in qualsiasi opera d’arte, indipendentemente dall’appartenenza a una corrente o a uno stile. Il loro impatto su di noi vive in relazione con il materiale e la tecnica che l’artista sceglie e la loro particolare combinazione si esprime in un risultato al quale noi reagiamo con un’emozione. Un’emozione che intendiamo con quell’enigmatico concetto del “bello” che per molti secoli è stato al centro del dibattito filosofico occidentale.

L’analisi visiva, se non ridotta a un approccio formale dove le “leggi” estetiche possono ostacolarne il senso e l’interpretazione, ci aiuta a sentire e realizzare la bellezza di un’opera, ma è giusto ricordare che l’apprezzamento di un’opera d’arte non si limita al solo piacere estetico, bensì alla comprensione del suo significato. L’interpretazione del significato sarà sempre legata al background personale e culturale e la percezione estetica, il bello, il brutto esistono in relazione all’esperienza interiore.

Dove le tecnologie più recenti sostituiscono quelle precedenti e le estetiche mutano ed evolvono insieme ad esse, sorge spontanea la domanda: come le tecnologie digitali, influenzate dalle regole delle nuove logiche ed estetiche, stanno cambiando il modo in cui percepiamo l’arte?

Nel corso della storia, l’arte e la scienza hanno interagito in molti modi diversi e insieme hanno creato nuove forme. Spesso l’arte ha influenzato la tecnologia, come nei casi del design e nell’architettura, e viceversa la tecnologia, influenzando l’arte, ha creato la fotografia e il cinema. Poiché la tecnologia e l’arte sono in costante rapporto di coesistenza, la loro interazione rimane sempre dinamica e aperta.

Oggi la tecnologia non solo interviene nella comunicazione e trasmissione dell’arte cambiando il nostro modo di percepirla e comprenderla, ma dà un nuovo volto alla produzione artistica in generale, basti pensare alla NetArt, all’Algorithmic Art e a tutte le sfaccettature della New Media Art.

Gli artisti contemporanei propongono dimensioni artistiche altre, esperienze generative insolite che offrono agli spettatori la possibilità di spaziare nelle dimensioni, nei tempi e nelle realtà alternative, provocando un dialogo che rende il processo di creazione di opere mediante l’innovazione una cosa quasi ovvia.

Qui anche l’esteriorizzazione quasi compulsiva dei nostri stati interiori impatta sul nostro modo di sentire le cose. La nostra necessità di catturare i momenti, condividerli con altri e autonarrarsi continuamente sensibilizza le nostre percezioni del mondo circostante. Ma quando gli stimoli esterni sono troppi non possiamo accoglierli tutti e quindi si sviluppa la tendenza della breve concentrazione.

Non ci soffermiamo più a guardare attentamente un’opera nella sua essenza, dobbiamo essere continuamente stimolati visualmente per ricordarla e anche per capirla, aggrappandoci sempre di più a quello che è più spettacolare, siamo impazienti di ricevere le informazioni già “masticate” da digerire.

L’arte è qualche volta una chiamata a un dialogo silenzioso ed è giustificata in quanto si rivolge a uno spettatore nella sua individualità, invita a una personale osservazione e richiede un certo distacco dagli altri e dalle tecnologie per essere capita.

Ma il dialogo anche se silenzioso presuppone la presenza di due interlocutori: tra lo spettatore e l’opera d’arte, quindi, uno dei due è tenuto a partecipare attivamente.

Jekaterina Kanevskaja

New Media Art

Termine molto ampio che può comprendere tutta l’arte computer-based, dalle sperimentazioni degli anni Settanta fino a oggi. La New Media Art affianca l’uso dei mezzi digitali e le istanze di tutti gli utenti che fanno uso di questi strumenti. Sono quindi progetti che si avvalgono delle tecnologie digitali emergenti e sviluppano tutta la gamma di possibilità culturali, estetiche e sociali di tali strumenti. Trova il suo apice negli anni Novanta del secolo scorso con happening e installazioni interattive.