Perché tante parole inglesi nel linguaggio strategico?

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Domanda sempre più necessaria visto l’uso fin troppo disinvolto che si fa di termini inglesi, e la risposta ha tante spiegazioni. Le situazioni che ricorrono all’inglese, lo traducono, vi si adattano con qualche storpiatura sono sempre più numerose. E vengono ormai allineate alle parole italiane, quasi fossero la stessa lingua o addirittura indispensabili alla chiarezza, alla loro comprensione, la naturale conseguenza del ragionamento in corso.

C’è da chiedersi da quando, come e perché l’inglese è entrato in casa nostra ed è stato accettato e accolto fino ad avere precedenza assoluta nel mondo che conta, quello da cui dipende la nostra vita?

Le parole inglesi vengono ormai allineate alle parole italiane, quasi fossero la stessa lingua o addirittura indispensabili alla chiarezza.

La prima risposta va cercata nella storia, negli avvenimenti relativamente recenti che hanno inizio con il colonialismo di Sua Maestà. L’inglese era stata la lingua esportata dalla politica britannica, limitata però agli aspetti amministrativi e commerciali, condizione che perse di supremazia quando tali colonie riconquistarono la loro indipendenza, anche se rimase la lingua maggiormente utilizzata per le trattative internazionali.

Con la fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Europa in gravi difficoltà accolse la lingua inglese come inevitabile conseguenza della supremazia statunitense: era il giusto mezzo per capirsi e per condividere esperienze e interessi, la lingua necessaria per affrontare gli affari, il commercio, la cultura, la politica.

Del resto l’inglese è sempre stata una lingua disponibile a infinite mutazioni. Ha origini germaniche, ma intercetta il latino dei Romani conquistatori e poi evolve, subisce l’influenza delle lingue con cui entra in contatto attraverso le dominazioni coloniali, non solo in Europa ma anche nel continente asiatico, diventa multietnica, rinuncia a una precisa identità o meglio ne assume una forte che la rende accessibile a quasi due miliardi di persone.

Terreno d’esportazione oggi sono soprattutto gli Stati Uniti. Qui hanno principalmente sede le multinazionali, qui si è affermata la lingua della rivoluzione tecnologica e di Internet; qui ha trovato sviluppo il computer, con una tastiera concepita in caratteri latini che non potevano essere utilizzati da chi parlava una lingua asiatica. Il marketing che l’Enciclopedia Treccani  definisce “il complesso dei metodi atti a collocare con il massimo profitto i prodotti in un dato mercato attraverso la scelta e la pianificazione delle politiche più opportune di prodotto, di prezzo, di distribuzione, di comunicazione, dopo aver individuato, attraverso analisi di mercato, i bisogni dei consumatori attuali e potenziali” fa ricorso all’inglese perché vi trova parole ed espressioni particolarmente accattivanti, dotate di un loro potere di seduzioni che non si prestano alla traduzione in altro idioma, compreso l’italiano.

L’inglese dunque come lingua internazionale condivisa da media partner, clienti e influencer per comunicare obiettivi e strategie, oltre il proprio mercato, conoscenza richiesta nel mondo del lavoro a tutti i livelli, ma in modo particolare nel web design, nel branding e nel web advertising.

L’inglese anche come lingua globale, a cui si riconosce una certa facilità d’apprendimento: vocaboli che spesso si prestano a essere posti in relazione con parole di altre lingue e quindi di facile comprensione.

L’inglese infine come lingua cantata, penetrata al di là di ogni possibilità di controllo, anzi con la totale disponibilità di chi ci si trova davanti, perché condivisa e apprezzata dall’intero pianeta. Jazz, blues, rock’n’roll e le versioni più attuali veicolate dai vai gruppi o complessi musicali non sono soltanto la colonna sonora dell’ultimo secolo, ma sono una forza di attrazione strategica per far passare messaggi a cui si assegnano simboli e tendenze.

Conclude Massimo Birattari, scrittore e appassionato della lingua italiana, in un suo libro del 2011: “L’inglese penetra in Italia e nel mondo, perché (per ora, poi toccherà al cinese) la modernità viene pensata in inglese e le idee che cambiano e guidano il nostro mondo sono concepite da persone che pensano in inglese. Per questo all’invasione dell’inglese non si può resistere erigendo barriere linguistiche”.

Luisa Maria Alberini