Come responsabilizzare i propri collaboratori

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Perché responsabilizzare è vantaggioso?

In un articolo precedente ho parlato della differenza tra motivazione controllata e motivazione autonoma, mettendo in luce quanto la seconda porti a effetti nettamente migliori rispetto alla prima. Se la motivazione controllata si crea attraverso l’imposizione di regole, procedure, premi e punizioni, la motivazione autonoma si genera tramite la responsabilizzazione delle persone.

Subire delle imposizioni è apparentemente “comodo” perché permette di scaricare la responsabilità, e dunque di non essere imputabile delle proprie azioni. Quante volte, di fronte a un errore, viene formulata una risposta che pone subito la persona sulla difensiva, come “Mi ha detto il mio capo di fare così”, oppure “Ho semplicemente seguito le procedure”? Aggrapparsi a un ordine imposto dall’alto o a un rigido regolamento è un modo per esimersi da ogni responsabilità. Molti collaboratori sono soliti comunicare al proprio manager un problema, pur avendo già in tasca la soluzione. Questo atteggiamento apparentemente privo di senso ha in realtà una ragione ben chiara, che ha radici proprio nello scarico di responsabilità.

Ma questa tendenza ad attenersi esclusivamente alle regole e a rispondere a rigorosi comandi alla lunga genera paralisi e blocca l’intelligenza collettiva dei team di lavoro. Il collaboratore che si limita a eseguire è incentivato a spegnere il cervello, non portando così alcun tipo di innovazione. Si può ben immaginare come questa condizione sia controproducente sia per il singolo che per l’organizzazione nel suo insieme.

Se infatti tale approccio era accettabile nelle aziende di stampo fordista basate sulla standardizzazione e sulla razionalizzazione del lavoro, in cui l’efficienza dipendeva dalla mera esecuzione dei compiti, non è più immaginabile in organizzazioni complesse come quelle odierne. D’altro canto, il collaboratore che può dare il suo contributo nelle decisioni aziendali si sentirà maggiormente coinvolto e realizzato, e percepirà che il suo lavoro ha un significato e può fare la differenza. Inoltre, alcune ricerche dimostrano che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, chi subisce le azioni è più stressato rispetto a chi prende decisioni in maniera attiva.  

A livello manageriale, la domanda è un valido strumento per dare valore ai collaboratori responsabilizzandoli.

Come aumentare la responsabilità delle persone?

Sorge dunque spontanea una domanda: quale stile manageriale adottare per responsabilizzare i collaboratori? Come in tutti i quesiti complessi non vi è una risposta univoca, una ricetta universale applicabile a qualsiasi realtà aziendale. È però possibile implementare un metodo che consenta di spostare l’attenzione dall’Io al Tu, ovvero dal manager al collaboratore. Valorizzare l’altro è il primo passo per renderlo protagonista delle sue scelte, diventando così responsabile delle conseguenze.

La metodologia a cui mi riferisco è quella codificata nel Metodo O.D.I.® (Osserva, Domanda, Intervieni), che costituisce il ponte per passare da una Comunicazione Efficace, basata cioè esclusivamente sulla soddisfazione degli interessi dell’Io, a una Comunicazione Strategica, che prevede invece una valorizzazione non solo dell’Io, ma anche del Tu e del Contesto. La fase più strategica del Metodo O.D.I.® è quella della Domanda, poiché consente di passare dall’Io al Tu.

A livello manageriale, la domanda è un valido strumento per dare valore ai collaboratori responsabilizzandoli. Quando una persona presenta al proprio manager un problema, questi, invece di proporre una soluzione, dovrebbe porgli una domanda, chiedendogli cioè come lo risolverebbe al suo posto. Per educare alla responsabilità occorre lasciare che sia la persona a riflettere su come risolvere il problema, dandogli così maggior autonomia e conferendogli una forte motivazione intrinseca.

Inoltre, porre domande aiuta la persona a ragionare, ad attivare il cervello, a prendere coscienza della spiegazione che si cela dietro le sue mansioni. Proviamo a chiarire questo concetto con un esempio. Immaginiamo una mamma intenta a cucinare una buonissima crostata di mele. A metà ricetta, si accorge di non avere abbastanza mele, e dunque incarica suo figlio Giacomo di andarle a comprare dal fruttivendolo. A un primo livello, la mamma potrebbe dare un semplice ordine al figlio, chiedendogli di procurarle tre mele renette. A questo punto Giacomo si reca dal fruttivendolo ma trova una sola mela renetta, che decide ugualmente di comprare. Quando torna a casa, la madre rimane un po’ delusa dall’acquisto, perché con una sola mela riesce a fare una torta poco gustosa. In una seconda ipotesi la mamma, invece di dare un ordine al figlio, gli domanda “Secondo te quante mele servono per fare una buona crostata?”. Lui, dopo averci riflettuto, risponde “Quattro. Vedo che ora ne hai solamente una, quindi ne servono altre tre”. Dopodiché gli fa assaggiare un pezzo dell’unica mela di cui dispone e gli chiede: “Perché ci vuole proprio questa tipologia di mele per fare la torta?”, e il ragazzo risponde: “Beh, perché sono molto zuccherose e saporite, e quindi perfette per un dolce”. A questo punto la mamma chiede “Che ne diresti di andare dal fruttivendolo a prendermi le mele che mi servono per la crostata?”. Arrivato nel negozio, il ragazzo si accorge che è rimasta una sola mela renetta, e sapendo che questa sarebbe insufficiente per la ricetta della mamma, chiede al fruttivendolo quale altra qualità di mela potrebbe andare bene per realizzare una buona torta. Il fruttivendolo gli consiglia una valida alternativa alle mele renette che consente alla mamma di realizzare una crostata squisita.

Questo esempio dimostra come le domande apparentemente semplici della madre hanno conferito potere al Tu, in questo caso rappresentato dal figlio Giacomo, che si è così sentito responsabile della buona riuscita della torta. La domanda induce infatti la persona ad assumere un atteggiamento attivo, a focalizzarsi sull’obiettivo e non sull’esecuzione dell’ordine. Nel primo scenario Giacomo ha subito passivamente un incarico, e benché abbia agito nel miglior modo possibile scegliendo le mele indicate dalla madre e acquistando tutte quelle disponibili, non è riuscito a ottenere un risultato soddisfacente. Nel secondo caso, invece, Giacomo ha attivato la mente per rispondere alle domande della madre. Ciò l’ha reso cosciente del “perché” del suo mandato, e di fronte a un problema ha saputo trovare la soluzione che meglio consentiva di conseguire il risultato atteso.

Greta Mezzetti