Intervista con Edgar e Peter Schein

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Edgar H. Schein è Professore Emerito presso il MIT Sloan, conosciuto per esteso come Massachusetts Institute of Technology Sloan School of Management. È specializzato nello studio delle organizzazioni. L’oggetto della sua ricerca verte sulle dinamiche di sviluppo della carriera, sui processi decisionali di gruppo e sulla cultura organizzativa. È ampiamente riconosciuto come uno dei più grandi esperti di cultura e sviluppo organizzativo e di Leadership. Insieme al figlio Peter, Edgar H. Schein dirige l’Organizational Culture and Leadership Institute con l’obiettivo di migliorare la leadership attraverso la comprensione profonda della cultura aziendale.

Peter A. Schein è un consulente di strategia nella Silicon Valley. Con oltre trent’anni di esperienza nel settore della strategia, del marketing e dello sviluppo aziendale, aiuta le start-up e le aziende tecnologiche in fase di espansione. Peter è ora concentrato sulle sfide di cultura organizzativa nelle imprese guidate dall’innovazione.

Il professor Luca Brambilla, Direttore dell’Accademia di Comunicazione Strategica, ha intervistato Edgar e Peter Schein sui temi più noti per cui padre e figlio sono riconosciuti in campo internazionale: la loro visione delle organizzazioni e della leadership, argomentati nei libri di cui sono autori: L’arte di fare domande (Seconda edizione, 2021) e L’arte di creare fiducia (2018). L’incontro, reso possibile dalla piattaforma Zoom, è l’occasione anche per discutere sul ruolo delle nuove tecnologie informatiche nella comunicazione.

Come possiamo gestire un’organizzazione in un periodo in cui tutto ciò che vediamo è incertezza, dal momento che c’è una pandemia in corso?

E.S.: Quello che Peter e io abbiamo osservato è che l’esistenza di piattaforme di interazione come Zoom ha fatto inventare, alla maggior parte delle imprese, nuovi modi di connettersi con i propri dipendenti che rendono possibile la gestione dell’azienda nonostante rigidi lockdown e ordinanze di restare a casa.

P.S.: La profonda distinzione filosofica che evidenziamo è quella tra chi mantiene una distanza professionali nei propri ruoli e chi invece si concentra nella costruzione di relazioni personali – che sia Zoom o di persona. Le aziende stanno cominciando a riconoscere che le relazioni personali sono più efficaci delle relazioni transazionali, e la pandemia potrebbe aver difatti accelerato questo riconoscimento.

Sono talmente d’accordo con voi che per me sarebbe stato impensabile fare questo tipo di incontri online se non fosse stato per la pandemia. C’è da dire che noi Italiani amiamo il contatto umano e gli abbracci. Pensate che dovremo imparare un nuovo linguaggio, per cominciare a costruire relazioni attraverso i device?

E.S.: Giusto per rafforzare la cultura e le idee italiane, molti anni fa ho letto di alcune ricerche a proposito di un’azienda canadese e di una loro filiale italiana ed è emerso che gli Italiani si sentivano mancare di rispetto, perché i Canadesi inviavano solo messaggi invece di far loro visita!

P.S.: Penso che la pandemia ci stia costringendo, per certi aspetti, a essere più attenti e a riflettere di più su quello che stiamo facendo o su quello che pensiamo e su come ci sentiamo. Non è il solito business e stiamo imparando ad accettarlo. Credo tuttavia che con le riunioni attraverso Zoom si applichi la stessa regola: dobbiamo chiederci se questi strumenti rendono il lavoro migliore e in quale modo lo migliorano o dove invece non lo fanno; dobbiamo essere molto consapevoli di ogni dettaglio. C’è sicuramente qualcosa di speciale, come abbiamo detto quando ci siamo presentati: noi che organizziamo un meeting così, alle 7 di sera per voi e alle 10 di mattina per noi! È magico! Il virtuale rende tutto possibile. Ha però alcune limitazioni, come la mancanza di contatto fisico, e penso che sia importante fare attenzione a quello che proviamo rispetto ai limiti che non riusciamo a valicare. Il mio ultimo punto è che ci incoraggiamo a vicenda, dicendoci che così funziona Zoom e che preferiremmo abbracciarci… ma io sono norvegese e tedesco quindi potrei non aver bisogno dell’abbraccio!

Questo significa che, quando entrambi verrete a Milano, ci saluteremo con i gomiti per evitare il contatto!

P.S.: Beh, potremmo dare la colpa alla pandemia e non alla cultura!

Edgar H. Schein è Professore Emerito presso il MIT Sloan, conosciuto come Massachusetts Institute of Technology Sloan School of Management.
Edgar Schein e Peter Schein

Collegandoci a questo, cosa dobbiamo tenere con noi dopo l’esperienza della pandemia e cosa dobbiamo lasciare andare?

E.S.: Penso che dipenderà molto dal modo in cui la cultura italiana crede nelle relazioni e nella fiducia reciproca e come si tradurranno il faccia a faccia, il rispetto e la fiducia nella distanza, perché alcuni dipendenti e alcune aziende continueranno a voler rimanere separati piuttosto che riunirsi. Questo dipenderà da come funziona la cultura italiana.

Ho condotto molti seminari in Italia per lavoro e ho imparato, attraverso i colleghi italiani che traducevano per me, che per la cultura italiana il potere è più importante dell’amore. Questo non è sempre vero in ogni luogo, ma se in Italia davvero il potere è più importante dell’amore, allora bisogna capire come esercitare il potere quando non si è faccia a faccia.

Ho qualcosa da dire, ma sono molto curioso di sapere cosa vuole aggiungere Peter su questo punto.

P.S.: Dal mio punto di vista Zoom crea una complicazione che è anche una virtù. La complicazione è che alcuni dei segnali di gerarchia e di status sono quasi eliminati in questa dimensione, perché siamo solo facce su uno schermo, non possiamo più comunicare il nostro status o il nostro potere nello stesso modo in cui lo facevamo in un incontro fisico. D’altra parte, il pregio è che con Zoom possiamo rivelare di più di noi, in senso positivo. Per esempio, io sono l’unico che sta usando uno sfondo virtuale, ma rivelerei di più di me stesso se lo spegnessi. C’è molto di più nel modo in cui comunichiamo l’uno con l’altro che crea apertura. Credo che questo sia il lato positivo: in un certo senso, dobbiamo essere in grado di fare quel passaggio dal potere all’amore e Zoom per certi aspetti lo rende più facile, perché siamo tutti sullo stesso livello, siamo solo finestre su uno schermo.

Con il Metodo O.D.I.® insegniamo ad amare perché solo così otterranno il “potere”. Questo è il nostro ponte tra amore e potere. Cosa ne pensate?

E.S.: Il commento più ovvio è che questo esempio è un perfetto parallelismo con quello che Peter e io abbiamo studiato e prodotto sui livelli di relazione: il lavoro nelle organizzazioni diventa sempre più complesso e le relazioni di puro potere non funzionano più, perché il capo non sa abbastanza. Bisogna comunicare e costruire una relazione, si deve usare l’amore per creare un rapporto di interdipendenza, in modo che il dirigente sappia ciò che sanno i dipendenti e, in questo modo, possano tutti lavorare meglio e prendere decisioni efficaci. Su questo, siamo completamente d’accordo.  Aggiungerei che il potere ostacola la comunicazione, l’amore invece permette e suscita la comunicazione e la comunicazione è necessaria, perché l’organizzazione funzioni.

P.S.: Con il potere si ottengono risposte alle domande che si fanno. Con l’amore si ottengono risposte a domande che non si pongono nemmeno, perché le persone provano fiducia e apertura nei tuoi confronti e ti dicono cose di cui tu non sai abbastanza per chiedere. Con il potere puoi sempre ottenere risposte, perché obblighi gli altri a darti delle risposte. Quelle stesse persone però potrebbero avere informazioni molto più rilevanti, ma si sentirebbero autorizzate a condividerle solo attraverso l’amore e non per mezzo del potere. Se instauri un rapporto di fiducia reciproca, offri informazioni e non le dai solo quando ti viene richiesto. Sottolineo inoltre che nella cultura aziendale statunitense non siamo a nostro agio con il termine “amore” quando si tratta di affari. Quando parliamo di sport e di squadre, invece sì: in quel caso le persone si amano, ma non sono a loro agio ad “amarsi” negli affari. Per questo Ed e io abbiamo pensato di sostituire “amore” con “apertura” e “fiducia”. Mi chiedevo se anche voi attribuite un senso particolare a ciò che la parola “amore” significa negli affari, che non le attribuite nella vita personale.

Credo che abbiamo il problema opposto. La parola “amore” è usata qui come sale su ogni piatto, in ogni conversazione. Per uno come me, che ha fatto delle parole il proprio mestiere, la parola “amore” ha un peso specifico molto importante, e quindi deve essere usata saggiamente. Capisco il senso del vostro usare le parole “fiducia” e “apertura” e sono d’accordo che nelle organizzazioni le persone possano amarsi. Forse, anche più che nello sport, perché mettiamo più impegno nel lavoro che nello sport: ecco perché le amicizie che durano di più sono quelle che nascono sul posto di lavoro.

E.S.: C’è anche un altro modo di vedere la stessa questione. In un’organizzazione tradizionale, il manager e i dipendenti mantengono una distanza professionale tra loro, non vogliono conoscersi personalmente: questo è quello che nei nostri libri si chiama Livello 1. Il Livello 2 è conoscere personalmente i tuoi impiegati. Con l’enfasi sul verbo “conoscere”, perché non richiede amore: basta la conoscenza. Semplicemente non ti tengo a distanza, ma arrivo a sapere chi sei e che tipo di persona sei. 

Quando ho letto il libro L’arte di fare domande ero molto felice di aver finalmente trovato qualcuno che vede le organizzazioni e il business come li vedo io. Poi siamo diventati tre: tu, Peter e io. Infine, ho fondato l’Accademia di Comunicazione Strategica e ora qui siamo davvero in tanti a concepire il lavoro in questo modo. Sono molto contento che quello che prima aveva senso solo per me, ora ha senso per tanti altri colleghi.

P.S.: Possiamo solo accettare il fatto che i valori in cui crediamo fanno vibrare le nostre corde emotive. Quando ci sentiamo a disagio, è perché avvertiamo di non essere allineati con ciò che per noi è giusto.

Luca Brambilla