La natura è la direzione – Intervista ad Angelo Naj Oleari

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Naj Oleari Copertina

Chi ha vissuto gli anni Ottanta se li ricorda benissimo: fiori, colori e poi le inconfondibili api. La creatività “vegetale” di Angelo Naj Oleari è stata la chiave del successo dell’omonima azienda tessile, la Naj-Oleari, un’eccellenza della storia imprenditoriale italiana. Ma legare la sua figura solo all’impresa di famiglia è riduttivo. Artista, poeta, umanista, visionario della comunicazione e grandissimo conoscitore del mondo botanico, nonché suo ambasciatore, oggi Angelo Naj Oleari vive in Brasile circondato dalle sue amate piante, alle quali invita a unirsi con “spirito di solidarietà e partecipazione”, come racconta nel libro Semi coraggiosi – Armonia selvatica, edito da Il Gufo Editore. Lo abbiamo raggiunto oltreoceano grazie a una videochiamata. «Io vivo per le piante», esordisce, «ho una splendida famiglia, ma vivo per le piante. Abito a un’ora e mezza da San Paolo, in una bellissima casa che era anticamente una piccola fazenda dei genitori di mia moglie Adriana. Sono qui da trent’anni e in trent’anni ho piantato di tutto ed è nata una foresta».

Partiamo dalla storia dell’azienda Naj-Oleari. Qual è il collegamento con il mondo vegetale?

La Naj-Oleari nasce nel 1916 da mio nonno Ausonio Riccardo, un ingegnere chimico che aveva sposato la nobile Gina Invernizzi, una donna forte con un fratello anarchico. Mio nonno era un uomo che amava la bella vita, tanto che gli uffici della vecchia sede della Naj-Oleari, in Corso Sempione a Milano, erano le stalle dei suoi cavalli. Il nonno aveva salvato molti ebrei durante la guerra. Tra questi, la famiglia Levi, che è stata poi il mio primo contatto con il mondo del lavoro e mi ha permesso di avvicinarmi a una realtà industriale che non era la mia. Io ero infatti un giovane artista, poeta e fantasista anarchico. Ma in quegli anni mio padre era diventato arteriosclerotico ed era necessaria la mia presenza nell’attività di famiglia. Quando mi sono trovato in questa situazione – i miei fratelli studiavano ancora – avevo finito il liceo e mi ero iscritto ad architettura senza mai frequentare, preferivo infatti le battaglie di strada del famoso Sessantotto. Anni magici, dove si sentiva la possibilità di un mondo nuovo. Ma poi il movimento studentesco, con la sua idea di doversi armare e difendere, ha rovinato tutto e ha soffocato il suo stesso ideale. Alle manifestazioni stavo sempre in fondo, non mi piaceva l’attacco, preferivo la difesa. È in questo periodo che sono entrato alla Naj-Oleari. Lavoravano mille operai su quattro turni, io conoscevo tutti.

L’azienda, in questi anni, aveva una sede in provincia.

Sì, nel centro di Magenta, in provincia di Milano, in un parco meraviglioso. Vedevo la possibilità di trasformare la villa in un asilo e in una biblioteca per ragazzi. Io volevo occuparmi del giardino e fare un’azienda destinata a un sogno vegetale e di colori. Mio nonno, essendo chimico, è stato uno dei primi a introdurre il colore sintetico. Poi, Maurizia (figlia del pittore Gianni Dova e madre dei primi due figli di Angelo, ndr) è diventata una grande disegnatrice di tessuti. Il nostro indirizzo erano i giovani in cambiamento: un pubblico molto difficile per il commercio, perché si rischia di non avere seguito. Alla fine, il successo c’è stato ed è stato quasi esagerato. E quando il successo è esagerato le aziende soffrono, perché mancano i fondi per andare avanti a quei livelli, come già accadeva nel tessile negli anni Sessanta. Il tessile era fatto in Europa, ma oggi non è più così. Questo perché non si trattava di fare dei tessuti e basta. Bisognava fare dei tessuti di comunicazione, di colori, di vita. Ma la vita non ha prezzo.

Quali sono le differenze tra fare impresa ieri e oggi?

Non è tanto questione di differenze, ciò che conta è prendere esempio dalla natura e dal cosmo: tutto si sposta continuamente, tutto è in movimento, e così dobbiamo fare noi. Ed è questa la cosa straordinaria della vita: dal cosmo si è trasferita al nostro essere. Noi siamo quindi ereditari del cosmo e responsabili del cosmo. È una cosa enorme! Non dobbiamo mai cadere nell’errore dell’innesto, ma riprodurci da seme o da talea, come ho sempre fatto io con le rose selvatiche, di cui sono stato vivaista per ben 33 anni. Conservo ancora una rosa che è la più piccola al mondo, un regalo ricevuto da Gian Paolo Porlezza, detto “Taroni”, carissimo amico insieme a Guido Piacenza (dell’antica azienda Piacenza Cashmere, ndr), che con me fondò il Centro Botanico nel 1975. L’innesto talvolta è una forzatura che facciamo anche su noi stessi: uno si va a innestare in un lavoro che non è il suo o si va a innestare in una famiglia che non è la sua.

Il libro Semi coraggiosi è un racconto intimo e poetico allo stesso tempo, in cui la sua storia personale si intreccia alle riflessioni sulla storia naturale del nostro Pianeta.

Sì, perché mi sento un poeta, ho pubblicato raccolte di poesie fin dagli anni Settanta. I testi di Semi coraggiosi sono inframmezzati da brevi componimenti, accostati a immagini del mondo vegetale. Il fotografo è mio figlio Orlando, architetto. Qui in Brasile c’è ancora questa spinta del paese che va avanti, che deve costruire, che deve fare. Il Brasile è forse la nazione più travagliata del mondo, perché ha una grande responsabilità: è chiaro che le piante sono il centro di gravità permanente e l’umidità che produce l’Amazzonia è necessaria alla nostra vita. Se questa umidità diminuirà ancora un poco, saremo costretti a vivere con le maschere d’ossigeno. I luoghi umidi sono da difendere: è inutile cercare l’acqua nel cosmo se non c’è. Questa è un’illusione. I ricercatori lo confermano: la vita è qua. Siamo semplicemente messaggeri di vita. Il nostro compito è quello di portare la vita – cioè i semi delle piante – fuori: sono l’origine della vita e si adattano a tutto. È questa la nostra risorsa.

Angelo Naj Oleari
Angelo Naj Oleari
Nella premessa di Semi coraggiosi si legge che “questo libro nasce da una certa intensa necessità e da un quasi improvviso turbamento”. Avremo l’opportunità di leggere altre sue opere in futuro?

Sì, perché con le poesie succede così. Nessuno dice: mi metto a scrivere una poesia. La poesia esce. Bisogna prenderla mentre esce e poi lasciarla lì e poi rivederla di nuovo. Spesso non ci sono nemmeno correzioni da fare, perché quello che è venuto fuori era la cosa giusta. Questo libro è uscito come se fosse una poesia, capitolo per capitolo. Ne ho pronti altri di libri, qualcuno un po’ più denso: il rapporto tra il nostro cervello e le nostre cellule, che rappresentano la nostra parte vegetale. È così che possiamo difendere il capitale umano in un mondo sempre più corrotto e virtuale.

Cosa possiamo fare perché il capitale umano non solo sopravviva, ma venga anche valorizzato e sostenuto? Come creiamo un circolo virtuoso?

Il circolo virtuoso si crea stando più vicino alle nostre cellule che al nostro cervello. È il cervello che ci porta fuori strada. Dobbiamo stare più vicini agli uccelli che cantano, alle musiche, all’acqua che scorre. Non scavare pozzi e sprecare l’acqua, non pensare che la distruzione o il riscaldamento della Terra siano dovuti alle fabbriche o alle automobili: non è quello il problema. Il problema – e nel libro lo spiego – è l’agricoltura della monocoltura che ha fatto il peggior danno sul Pianeta, peggiore delle bombe atomiche. La monocoltura fa la guerra alla Terra. E questa guerra produce la nostra alimentazione: siamo di fatto alimentati da una guerra. In Brasile questa realtà è particolarmente sconvolgente, con questi trattori che sono vere e proprie armi.

Le piante sono la via da seguire. Questo vale anche per il mondo della comunicazione?

Certo. Le piante stanno in silenzio, non scrivono, non guardano la televisione, non fanno guerre. Ma cosa cercano? Equilibrio. Non a caso nella piramide gli scienziati hanno posto al vertice le piante, poi gli animali, e alla base l’uomo. Noi quindi valiamo poco? Non è così, noi siamo un contenuto particolare: siamo uno svolgimento finalizzato, siamo qui per un compito. Bisogna essere semplici, naturali. La natura si esprime con i profumi, con i colori. La comunicazione inizia con i profumi e i colori: questa è la vera comunicazione. Bisogna prendere un indirizzo nuovo, che non è la scuola e non è il lavoro. Ci vogliono altre cose. Bisogna essere disponibili ad affrontare il resto – che è il tutto. Il lavoro è un falso problema, la scuola è mal indirizzata, l’alimentazione è più un guasto che un beneficio. Il biologico ha risolto il 10% dei problemi, ma se è monocoltura non ha nessuna relazione. Ecco, noi oggi cerchiamo la luce dai pannelli solari o dal vento. Ma i pannelli vanno messi sui tetti, non nei campi, altrimenti vengono rovinati per sempre e si crea la monocoltura solare. Lo stesso vale per i venti. L’energia la conosciamo da 220 anni ed è lì che ci aspetta: è quantica.

Nel libro si parla proprio di “soluzione energia quantica”: ci spiega meglio questo concetto?

Dal cosmo proviene il quantum indispensabile a movimentare tutto, unisce l’intelligenza energetica alla sensibilità cellulare umida. Ma noi siamo già in ritardo: siamo a metà del tempo della vita del Sole. Se il Sole muore, noi moriamo con lui. Ci mancano ancora tre milioni e mezzo di anni. Tanto? No, se pensiamo che le piante ci hanno messo tre milioni e mezzo di anni per arrivare fino ad oggi. Abbiamo solo questo Pianeta.

Lavoro e scuola sono un falso problema, tuttavia noi siamo cresciuti con questo modello. Che consiglio si può dare a un giovane perché non resti “ingabbiato”?

Che non consideri questo mondo una trappola. Io stesso pensavo che la Naj-Oleari fosse una trappola, invece non lo è stata: abbiamo avvicinato i giovani di tutto il mondo, è stata un’esplosione di successo che non siamo quasi riusciti a gestire perché è difficile andare avanti quando mancano i soldi, ma è difficile anche quando i soldi servono per mantenere il successo. I soldi sono un guaio. O meglio, il lucro è un guaio.

Dobbiamo quindi prendere ispirazione dalla natura?

Esatto. Qui dove io abito c’è il cerrado, la spina dorsale del Brasile, primo bioma del mondo, 15.300 specie. Oggi è quasi completamente distrutto. Fino a trent’anni fa non era così, era distrutto solo il 30% della mata atlântica (la “foresta atlantica”, regione che si estende lungo la costa atlantica del Brasile, ndr) che oggi è leggermente recuperata. Il cerrado invece sembra non interessare a nessuno. Negli anni ho sviluppato una sensibilità: vedo una pianta e capisco cosa vuole comunicare. Le piante ci vogliono far viaggiare e ci vogliono curare: le cure sono per noi. Le piante sono farmaciste. Come mai si occupano di noi e ci nutrono? Ci danno i frutti: un regalo per tutti, uomo e animali. Da lì nasce il colore. All’inizio i frutti erano verdi, non c’erano i fiori. Poi è nato il colore. Nel frutto c’è la verità. Pensiamo anche al dono degli oli essenziali: copaiba, l’antinfiammatorio numero uno al mondo, ma anche jatobá. Da giovane, quando ero nel pieno della mia attività artistica, dipingevo le strade. Mi hanno sempre affascinato. Anche adesso, quando mi trovo su un terreno, la prima cosa che penso è “dove voglio andare?”. È quello che dobbiamo chiederci tutti nella vita: “Dove vogliamo andare?”. La risposta ce la dà la natura.

Alessandra Voi