Leadership e educazione: il percorso di Paolo Campolonghi alla guida del collegio Carlo Alberto di Torino

Paolo Campolonghi, Managing Director del collegio Carlo Alberto di Torino, racconta i momenti chiave della sua storia accademica e professionale. La sua visione innovativa, arricchita da un’esperienza internazionale, fornisce interessanti spunti sulle competenze relazionali e di leadership e sull’evoluzione del sistema educativo e del mondo del lavoro.

Attualmente lavora come Managing Director, presso il collegio Carlo Alberto di Torino. Come si è evoluta la sua carriera e quali sono stati i momenti più sfidanti e significativi? 

La mia formazione, prettamente umanistica, mi ha fornito competenze specifiche nel settore dell’educazione e della ricerca: dopo la laurea in filosofia ho conseguito un dottorato alla New York University con una tesi in “Storia delle idee”.

Parallelamente e successivamente al percorso accademico ho insegnato presso la scuola paritaria italiana di New York, evolvendo verso ruoli di coordinamento e gestione. Queste esperienze mi hanno permesso di acquisire competenze manageriali e di leadership, che, unitamente alla padronanza della lingua inglese e all’abitudine a contesti internazionali, rappresentano abilità essenziali per il mio attuale ruolo, che unisce responsabilità gestionali operative a funzioni di indirizzo strategico.

Quali sono i valori e criteri che guidano le scelte relative alla sua carriera e alla gestione del collegio?

Negli ultimi anni i bisogni dei lavoratori e il significato associato al lavoro sono cambiati drasticamente, e chi ricopre ruoli di responsabilità deve tenerne conto.

Ritengo fondamentale che un leader crei le condizioni affinché l’organizzazione cresca e si sviluppi organicamente, prima grazie alla sua azione diretta e poi autonomamente. La leadership deve essere intesa come un abito da indossare in ogni attività, promuovendo formazione continua, accountability e consapevolezza.

Credo nella service leadership: chi ha responsabilità deve essere un riferimento di servizio, supporto e risoluzione di problemi, non necessariamente un protagonista. La leadership deve emergere dal riconoscimento, non dall’imposizione. È essenziale sviluppare intelligenza emotiva e capacità di ascolto, fondamentali per una buona comunicazione e una leadership di successo.

Un altro principio in cui credo è la cultura, intesa non solo come conoscenza, ma come consapevolezza nel modo di intendere il lavoro e i rapporti interpersonali. L’impegno, la dedizione e la responsabilità, sono cruciali, così come la condivisione di valori che orientino l’attività lavorativa. Un esempio concreto è la celebrazione dei vent’anni del collegio, organizzata non soltanto con l’obiettivo di decantare l’istituto, ma di lanciare un messaggio etico.

Quali sono, secondo lei, i cambiamenti da promuovere e incentivare all’interno del panorama dell’educazione?

Sono molti i miglioramenti da apportare al sistema formativo. A livello universitario e post-laurea, il sistema italiano è in grado di produrre talenti, ma c’è un problema di connessione al mondo del lavoro. È necessario investire in progetti che creino opportunità di carriera per laureati, creando ponti tra università e aziende.

I percorsi formativi italiani sono troppo rigidi. Dovrebbe essere possibile per uno studente cambiare disciplina o integrare conoscenze in ambiti diversi senza dover moltiplicare gli anni di studio, come avviene in altri paesi. L’università dovrebbe accettare una pluralità di identità e competenze, permettendo a laureati di acquisire abilità in più campi.

L’iper-specializzazione è utile per alcune professioni estremamente specifiche, mentre la maggior parte dei ruoli sono necessari soprattutto una mente elastica e con una solida preparazione di base, che consentano di apprendere e applicare rapidamente concetti tecnici.

Inoltre, le università dovrebbero assumere un ruolo più strutturato nell’orientamento, offrendo percorsi di conoscenza, testimonianze e visite aziendali, per aiutare gli studenti ad avere una comprensione più chiara delle professioni e delle opportunità di carriera.

Paolo Campolonghi – Managing Director del collegio Carlo Alberto di Torino

Quali sono le competenze relazionali più importanti da sviluppare?

A mio avviso, in precedenza le competenze relazionali venivano sviluppate più organicamente, grazie a una vita relazionale più varia e intensa. La virtualizzazione dei rapporti ha portato a barattare alcune consapevolezze e capacità per altre abilità derivanti dalle nuove tecnologie. 

In alcuni ambiti relazionali, sembra come se dovessimo “reimparare a camminare”.  Mi riferisco al rispetto, alla capacità di lettura dei contesti, all’abilità di modulare registri differenti a seconda delle situazioni e degli interlocutori, alla proprietà di linguaggio.

Occorre maturare la consapevolezza che la parola è il nostro biglietto da visita, e le persone tendenzialmente valutano e giudicano anche sulla base di quello che si sentono dire. Nelle mie esperienze da docente ho cercato chiavi anche ludiche e scherzose per dimostrare come alcune abitudini in contesti inappropriati potessero diventare un problema nella carriera lavorativa. Per esempio, non sapere come rivolgersi correttamente a una persona in un contesto professionale può trasmettere un’impressione negativa.

È come se avessimo voluto convincerci che la forma non sia sostanza, mentre in realtà è cruciale capire che competenze di intelligenza emotiva e di comportamento sono altrettanto importanti quanto quelle digitali o tecniche.

Che consiglio darebbe ai giovani per costruire una carriera di successo?

Per rispondere a questa domanda vorrei connettermi al rapporto tra “Virtù e Fortuna” così come inteso da Machiavelli, ossia la capacità di portare a proprio favore gli eventi, di saper sfruttare le circostanze “fortuite” per conseguire i propri obiettivi.

Il mio consiglio è quello di essere curiosi, reattivi e disponibili all’impegno; di coltivare volontà e intraprendenza, che credo siano decisamente più determinanti del talento, per misurarsi con successo e su scala globale con l’enorme competitività del mercato del lavoro.