Manager o imprenditore? Entrambi! – Intervista a Francesco Venier

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Oggi è il direttore della divisione Executive Education MIB School of Management di Trieste. Ci racconti questa realtà.

Sono entrato al MIB appena laureato, quando non c’era ancora l’Executive Education ma solo il Master in International Business, un master a cui si poteva accedere subito dopo la laurea senza esperienza di lavoro – al contrario di ciò che accade adesso per i nostri MBA che, essendo accreditati da AMBA devono rispettare gli standard internazionali che impongono per i partecipanti un minimo di 3 anni di esperienza manageriale. MIB è nata nel 1988 come consorzio tra le tre università regionali e alcune grandi imprese del Nord-Est.  Naturalmente, essendo nati come spin-off ante litteram dell’Università di Trieste, siamo legati da un rapporto molto stretto con l’Ateneo del quale io stesso sono un professore, e che, grazie ad una convenzione, oggi attribuisce lo status di master universitario ad i nostri master full time, sia l’MBA in International Business che il Master in Insurance and Risk Management, che sono i due programmi storici della Scuola, insegnati completamente in inglese e con aule composte da studenti provenienti da 40 paesi diversi.

Quali sono gli obiettivi per il prossimo futuro?

Il macro-obiettivo futuro è quello di crescere e attrarre ancora più studenti stranieri, oltre ai manager che già fanno parte delle nostre classi da anni. L’obiettivo nel breve periodo è senz’altro quello di consolidare il successo dell’Executive MBA in Business Innovation (EMBA-IN) a Milano di cui stiamo lanciando la seconda edizione.  Sappiamo che Milano è il mercato più difficile per l’executive education, ma il nostro EMBA-IN ha un taglio diverso da quelli classici: nasce da una partnership con Venture Factory e si pone come obiettivo quello di creare delle aule con uno stimolante mix di due tipi di partecipanti.  Il primo sono i manager di grandi imprese interessati a sviluppare sia competenze manageriali di un MBA sia un approccio più “imprenditoriale” alla gestione del loro business; il secondo gruppo sono invece veri imprenditori che vengono dalla ricerca, di fatto scienziati o tecnici specializzati, che desiderano comprendere i meccanismi di funzionamento e sviluppo di un’impresa.

Quali sono i nuovi trend in campo formativo e come si evolverà per i player istituzionali l’approccio alla formazione?

Sicuramente l’intrapreneurship, ovvero l’adottare un approccio imprenditoriale al management, è un trend evidente; infatti, sullo sviluppo di questo approccio lavoriamo sia nei programmi su commessa che nei nostri master.  Un altro trend è l’applicazione in azienda della data science e dell’intelligenza artificiale (AI), la cui conoscenza delle basi tecniche oggi è fondamentale per un manager. L’AI è, quindi, un tema su cui le Business School sono sfidate. Noi riteniamo di essere una di quelle più avanzate in questo ambito perché a Trieste abbiamo la fortuna di avere, sia nell’Università che nella SISSA (Scuola Internazionale Superiore Studi Avanzati), dei colleghi con eccellenti competenze in questi ambiti con i quali lavoriamo su programmi di formazione volti a sviluppare negli studenti quelle capacità di essere dei “Business Translator”, ovvero traduttori del linguaggio della data science quello del business, manager in grado di guidare progetti di applicazione concreta dell’intelligenza artificiale in azienda.

Francesco Venier, Direttore della divisione Executive Education MIB School of Management di Trieste.

In questo mondo che ruolo rivestono le soft skill e le dinamiche comportamentali?

Le soft skill sono fondamentali sempre. Più che di soft skill parlerei di leadership skill, essenziali per poter scaricare a terra le competenze tecniche. Essere un tecnico “nerd” che non comprende le dinamiche relazionali, che non sa ascoltare i colleghi e i collaboratori, che non sa condividere la sua visione, rischia di sprecare il potenziale, spesso enorme, delle sue competenze tecniche.  L’EMBA-IN di cui accennavo sopra, che sta partendo a Milano, oltre alle “deep-tech” e all’ “entreprenerual management”, dedica una grande attenzione alle leadership skill. Le soft skill, infatti, sono fondamentali per collegare e integrare tutte le competenze gestionali, tecniche e scientifiche e focalizzarle verso un risultato di business efficacie immediatamente e sostenibile nel tempo. Ci deve essere la sostanza, ma conta molto anche la capacità di trasmette la passione, creare il legame emotivo verso il risultato finale, la capacità di dare un significato al lavoro del team e a includere il contributo di ogni suo membro facendolo sentire comproprietario di quel risultato, un risultato utile agli altri e per questo capace di produrre autorealizzazione in chi lo raggiunge.

Che suggerimento darebbe a un giovane che entra nel mondo del lavoro?

Gli direi: “va dove ti porta il cuore, ma usa il cervello”.  Oggi i ragazzi stanno scoprendo che il sistema educativo tradizionale e la società stessa non garantiscono più i percorsi professionali che fino a pochi anni fa sembravano scontati. Gli suggerirei quindi di non fare le cose per inerzia, perché si è sempre fatto così o per seguire le pressioni sociali o familiari. Gli direi di fare lo sforzo di immaginare il proprio futuro e di seguire i percorsi che lui/lei ritiene possano dargli/darle quel futuro.

Proprio per questo li spingerei a disegnare il progetto di vita personale e professionale focalizzandolo sulle attività che stanno nell’intersezione di questi tre insiemi:

  • Le attività che mi appassionano e che, quando le svolgo, non mi accorgo del tempo che passa;
  • Le attività che soddisfano i bisogni di qualcuno e per le quali questo qualcuno è disposto a pagare;
  • Le attività per le quali ho già o posso acquisire le competenze e le risorse necessarie (sia in termini di conoscenze che economici).

La sfida è quindi trovare l’intersezione e avere il coraggio di disegnare e perseguire il proprio progetto. In altri termini, la sfida è diventare l’imprenditore di se stessi.

Luca Brambilla