Se vai in cerca del male negli altri, convinto di trovarlo, senza meno lo troverai – Abraham Lincoln

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La guerra è la manifestazione più evidente e drammatica del fallimento della comunicazione. Per chi ha studiato a fondo l’argomento, non si tratta certo di una sorpresa; gli elementi in gioco sono tanti e talmente importanti da far scrivere agli esperti che dovremmo meravigliarci ogni volta che la comunicazione riesce, piuttosto che stupirci quando fallisce. Nelle dinamiche quotidiane è sufficiente l’esperienza per provarlo: basta un malinteso per deviare completamente dagli obiettivi finali di comprensione e cooperazione. L’interpretazione pregiudiziale della mimica facciale è un buon esempio: un marito che inarca un sopracciglio davanti al piatto cucinato con dedizione, uno studente che sbadiglia a lezione, un collega che sorride mentre tutti sono seri… ed è subito guerra.

L’effetto domino non risparmia gli incontri successivi che saranno minati dal pregiudizio di “quella volta in cui…”. Si originano cioè tutta una serie di sovra-interpretazioni quasi sempre errate che creano un terreno conflittuale perenne. Il correttivo che viene utilizzato più di frequente per limitare i danni consiste in una rigida disciplina che pervade ogni ambiente, pubblico e privato. Sorridi, ringrazia, saluta, fai la riverenza (e subisci la relativa penitenza), stai composto, stai zitto (ma parla quando sei interrogato!) sono tutte indicazioni che fin dalla più tenera età servono a contenere gli eccessi, a dominare le reazioni istintive, gli occhi al cielo, lo sbuffare, i silenzi protratti e la chiacchiera facile.

La comunicazione che ha successo è sempre rivolta agli altri in apertura, è attenta ai segnali del contesto e non è desiderosa di rivalsa.

La cosiddetta buona educazione è il tentativo di fare fronte a un disastro annunciato: si sa che cosa succede ai ribelli e ai contestatori. “Ai nostri tempi” dicono gli anziani alludendo a un’epoca d’oro che… non è mai esistita! Anche la più rigida disciplina è disfunzionale per accumulo, obbliga a gesti bloccati privi di ogni empatia che più forte faranno esplodere l’incomprensione e decreteranno ancora una volta il fallimento della comunicazione. Nel mondo, nella politica, nella diplomazia succede lo stesso. Lo schema azione-reazione si ripete con vigore e favorisce l’effetto domino verso il collasso.

È possibile cambiare scenario? Senza dare false speranze, dipende dalla nostra precisa scelta di esseri umani: il conflitto per gli antichi filosofi greci era addirittura il principio originario di tutte le cose. I Romani suggerivano di prepararsi alla guerra per mantenere la pace. Errori? Più che altro interpretazioni della realtà attualissime. Ogni volta che avalliamo il giudizio e la critica, ogni volta che la mente si attiva in senso ipertrofico e divorante, con interventi maldestri che sono sempre giudicanti, la nostra vita intera è destinata a essere un teatro di guerra. Solo un passaggio di consapevolezza consente una trasformazione tale da originare una situazione parallela e del tutto diversa.

La comunicazione che ha successo è sempre rivolta agli altri in apertura, è attenta ai segnali del contesto e non è desiderosa di rivalsa. Bisogna però prepararsi, studiare, fare esercizio, come suggeriamo sempre qui in Accademia. Siamo veri esperti nel conflitto, secoli di Storia hanno saputo formarci in modo magistrale, in questo senso si può intendere il famoso proverbio latino: un’ottima maestra di vita. Siamo invece incompetenti per la pace. Lincoln suggerisce il metodo: chi cerca la guerra la troverà. Chi è disposto invece a cercare la pace? 

Cecilia M. Voi