Strategia: un ponte tra problemi e soluzioni

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Il termine “strategia” è – senza dubbio – una delle parole più usate e abusate nel campo manageriale. Nel tentativo di darne una definizione più autorevole e indicare gli elementi essenziali che concorrono a creare cattive strategie o che servono per elaborarne di vincenti, il Direttore dell’Accademia di Comunicazione Strategica, Luca Brambilla, ha riflettuto sui punti chiave del libro “Buona Strategia Cattiva Strategia” di Richard Rumelt durante il webinar che si è tenuto nel pomeriggio del 12 dicembre.

Nel testo, Rumelt definisce la cattiva strategia come “fuffa”, intesa come un utilizzo sbagliato di tutto ciò che oggi va sotto il nome di purpose, vision, mission. È quello che oggi fanno le grandi organizzazioni, che «identificano come strategia una bella descrizione di quel che si fa: può essere un buon elemento di marketing ma sicuramente non è un elemento puramente strategico».

Fare cattiva strategia significa anche non identificare in maniera chiara e corretta i problemi che sussistono all’interno dell’azienda e pensare che basti inserire l’espressione “obiettivi strategici” in modo del tutto casuale per far sì che quanto formulato sembri far parte di una strategia più complessa e chiedere ai propri collaboratori di crederci per raggiungerli.  La motivazione, però, non deriva soltanto dalla fede che si ha negli obiettivi che ci si è prefissati; è alimentata dal livello di allineamento che si ha con la strategia aziendale che, proprio per questo, deve essere ben definita.  

Infine, una cattiva strategia è quella che si basa su uno scambio di obiettivi che fa sì che il “come” venga meno: la strategia, però, riguarda il “come” e non il “perché.

Come si elabora, allora, una buona strategia? Declinando nella propria realtà professionale i tre step seguenti, l’uno propedeutico all’altro:

  1. la diagnosi, intesa come analisi attenta e minuziosa della situazione attuale;
  2. la politica guida,che indica l’azione operativa della strategia attraverso l’identificazione di un macro-criterio sintetizzabile in una o due frasi che sottendono l’azione e l’operato;
  3. l’attuazione di un’azione coerente declinata sul come e sul perché, suddividendo i macro-obiettivi in sotto obiettivi che possano essere gestiti in maniera più ottimale creando anche delle opzioni, ovvero degli obiettivi prossimi attraverso l’uso strategico del tempo.

Questi tre pilastri non bastano. Bisogna imparare a pensare in modo strategico, ovvero a comprendere la natura stessa della strategia e a identificare delle ipotesi. Nel mettere in pratica questo approccio, tuttavia, è bene non affezionarsi agli obiettivi e alle ipotesi fatte, ma osservare e valutare il «contesto che cambia, avendo a cuore gli interessi più che le posizioni». Oltre alla strategia di ipotesi, il pensiero strategico si può avvalere di diverse tecniche, tra cui:

  • l’identificazione del nocciolo del problema, traducibile in una frase chiara e semplice;
  • l’identificazione in una slide del binomio problema-soluzione, cercando di identificare soluzioni convincenti per tutti;
  • l’uso di tecniche anti-bias per prendere decisioni strategiche.

Iniziate, quindi, con una diagnosi nella realtà lavorativa; identificate poi una regola guida e successivamente pianificate un’azione coerente. La strategia è il ponte tra i problemi e le soluzioni, l’identificazione dei quali passa attraverso una negoziazione con sé stessi.

Chiara Grilli