Una nuova concezione di “target”: da obiettivo da raggiungere a relazione da costruire

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Il continente commerciale nel quale lavoro con passione è il turismo e la penisola sulla quale in particolare mi muovo si chiama ospitalità alberghiera. In questo specifico business – questo lavoro così tanto straziato dalla pandemia – svolgo il ruolo di Event Manager e insegno questa professione in alcune scuole rinomate.

Non voglio estendere la definizione del mio ufficio oltre i confini della penisola (la mia terra) nella quale mi trovo. Voglio invece dire che il funzionario commerciale nell’ospitalità alberghiera è quel tipo di professionista che deve cercare soldi e informazioni per ottenerne. Si tratta in pratica di fare un poco di marketing per analizzare bisogni e trovare idee di prodotti/servizi da vendere con profitto. Un poco di PR per curare le relazioni con i clienti potenziali, acquisiti, fedeli e infedeli. Si tratta anche di vendita per chiudere un gran numero di contratti per vendite spot o accordi quadro per vendite ripetute nel tempo.

La preparazione teorica per svolgere questo compito commerciale esiste, ma richiede soprattutto l’esercizio della pratica. Talento + volontà sono la formula da mettere in gioco. Ammetto tuttavia di non essere un teorico di marketing puro: proprio questa coscienza mi consente di prendere una posizione critica, se non addirittura contraria, nei confronti di un “concetto” di marketing che molto spesso leggo / sento ancora.

La definizione tradizionale di target

So che una qualsiasi impresa dopo aver studiato il mercato dei potenziali acquirenti identificandone i bisogni, identifica (segmenta) nel proprio mercato i destinatari (target) delle proprie strategie di vendita. La definizione di un target commerciale comporta la creazione di un prodotto che vada bene per qualsiasi individuo oppure di un prodotto che vada bene solo per un certo tipo di individuo o infine una serie di prodotti che vadano bene per diversi tipi di individui. Questo si intende a grandi linee per segmentazione del mercato in target.

Da Target Market Strategy a Field Market Strategy

Non mi sogno di negare questo approccio che fra l’altro mi pare sensato. Voglio invece reagire all’idea che il mio cliente debba essere considerato un target – parola che proviene tra l’altro dalla terminologia bellica. Non penso affatto che il cliente sia lo scopo della mia relazione commerciale, la meta della mia attività o addirittura l’obiettivo delle mie strategie. Il mio vero scopo è la relazione nel tempo. I mezzi per raggiungere la meta denaro sono il trattamento delle informazioni: ricerche di mercato, pubbliche relazioni, pubblicità, promozioni, benchmarking interaziendale. Preferisco collocare il target in soffitta.

Ogni strategia commerciale che si rispetti, invece, dovrebbe considerare il mercato come un campo. Invece di Target Market Strategy dovremmo sentir parlare di Field Market Strategy: “Il mercato va coltivato come un campo” ovvero “Il cliente è la pianta del mio campo”.

Ho appena usato, a questo punto del mio breve discorso, la metafora del Campo. L’uso di una metafora implica un modo di pensare e un modo di concepire la realtà che noi utilizziamo ogni volta che tentiamo di comprendere un elemento della nostra esperienza riferendoci ai termini di un’altra. Questa operazione rende parziale, come nella metafora che ho proposto, sia il concetto di mercato che di coltivazione di un campo. Tuttavia ci consente di capire qualcosa di nuovo sul mercato. Invito per questo a considerare il cliente come una pianta da frutto, legume, ortaggio, fiore in un campo. Noi che ci siamo dati come compito quello di fare soldi in un determinato campo, in sostanza ci siamo impegnati a coltivare per raccogliere frutti – clienti e profitti. Certo questo comporterà una manutenzione attenta delle nostre colture (raccolta, analisi, confronto e sintesi di informazioni), in modo che le piante sane (clienti) continuino a darci soddisfazioni (raccolti).

Coltivando il sogno che la nostra erba sia sempre più verde di quella del vicino, ci accorgeremo che spesso neanche la massima perizia nel coltivare può essere sufficiente a produrre risultati eccelsi. Nel bene e nel male, una stagione fatta di sole e pioggia al momento giusto, una grandinata, possono cambiare in modo radicale gli esiti delle nostre campagne (alias strategie). Da buon contadino, ti accorgerai che una pianta felice non abbandonerà il tuo campo. Siamo solo noi che potremo cedere campo ad altri agricoltori, facendo sì che piante nostre diano frutti ad altri, ovvero permettere che le gramigne (piante che non vogliamo seminare e coltivare nel nostro campo) si impossessino del nostro campo, riducendo lo spazio vitale per le nostre piante dai frutti prediletti.

Mi fermo con il mio discorso metaforico, per ritornare sulla mia scelta di preferire metafore del tipo “Il cliente è la pianta del mio campo” all’idea consolidata che “il cliente sia il target del mio mercato”. Preferisco la pianta, perché per farla vivere è necessario instaurare un dialogo lungo nel tempo, fatto di cure amorevoli (pena il deperimento e morte dell’organismo vivente). Nel campo del business credo in modo fermo che il trattamento delle informazioni necessarie a far soldi comporti anch’esso un dialogo costante e duraturo fatto di stimoli e risposte reciproci.

Quando invece penso al termine target, nel mio business, non provo le stesse sensazioni. Continuo a vedere solamente il raggiungimento di un obiettivo, il colpire un centro da una certa distanza, in una sorta di guerra di mercato intelligente nella quale si continua a pensare di non fare vittime e ottenere esattamente quello che si vuole.

Tutti siamo della stessa opinione; ogni azione commerciale deve aggiungere profitto al profitto. Questo però non mi impedisce di credere che ogni azione non dovrebbe essere considerata una meta, un centro da colpire, bensì un discorso da avviare un po’ come accade per la coltivazione dell’uva. Il nostro seme d’investimento (la vite iniziale), ci porta, con cure amorevoli, alla creazione del nostro stabile cliente (la vigna) che frutta grappoli d’uva, poi vini d’annata, aceti spettacolari e profitti che nel tempo si moltiplicano da soli.

Uscendo dal target ed entrando nel campo possiamo raggiungere risultati che nemmeno sapremmo definire sul piano strategico. Molti secoli orsono l’alchimista Paracelso scrisse “Chi crede che tutte le persone maturino contemporaneamente come le fragole, non sa nulla dell’uva” oggi sento di voler dire “chi crede che il mercato sia fatto di target non conosce l’agricoltura”.

Matteo F. Ponti