ART THINKING: L’ARTE CONTEMPORANEA COME STRUMENTO PER LO SVILUPPO D’IMPRESA

Tempo di lettura: 6 minuti.

L’arte contemporanea può apparire come un mondo stravagante, pieno di cose incredibili, a volte addirittura grottesche: è il caso delle opere di Hermann Nitsch, che adoperava sangue e budella alla stregua di materiali pittorici; oppure, se guardiamo agli scandali recenti, dell’installazione A Hundred Years dell’artista britannico più controverso di sempre, Damien Hirst, con uno sciame di mosche che muore bruciato da un insetticida elettrico. Quest’ultima è stata rimossa nel 2022 dalla collezione del Kunstmuseum di Wolfsburg sotto pressione degli animalisti della PETA, anche se non è certo l’opera più sconvolgente di Hirst: basta digitare il suo nome su un motore di ricerca qualsiasi, per rendersi conto che l’artista è solito adoperare animali sezionati per la realizzazione delle sue complesse installazioni, celebri per il loro stile audace e provocatorio. Da quando si è raggiunto il cosiddetto «grado zero dell’arte», abbiamo assistito alla decostruzione del soggetto e al capovolgimento del concetto di estetica, fino al totale annullamento dei confini tra i linguaggi creativi (ricordate Fountain, il celebre orinatoio di Duchamp? Provate a spiegarlo attraverso le teorie di Winckelmann, tanto per fare un esempio…) e malgrado il carattere teorico di certe avanguardie, l’iconoclastia moderna continua a fabbricare simulacri, «immagini in cui – come direbbe Baudrillard – non c’è niente da vedere».

Forse ciò accade perché gli artisti sono sempre più impantanati in un discorso metanarrativo; forse perché le Accademie hanno perso la propria autorevolezza sul sistema dell’arte, cedendo il passo all’iniziativa privata; forse per l’importanza rivestita dai mezzi di comunicazione nel conseguimento del successo di massa; forse per tutte queste cose assieme o forse per nessuna, chissà. Quel che è certo, è che in una società liquida come la nostra, dominata dalle tendenze di mercato e dove «i poteri di liquefazione sono scesi dal livello ‘macro’ a quello ‘micro’ di coabitazione sociale», i concetti di creatività e innovazione risultano preferibili al concetto di bellezza, a esclusione solo del discorso sul design, ancora imperniato sul binomio estetica-funzionalità (LINK). In effetti, entrambe sono qualità altamente spendibili nel mondo della cultura d’impresa, dove l’innovazione è un concetto chiave per la creazione di valore aggiunto e la creatività un vantaggio competitivo indispensabile al conseguimento di quello stesso valore.

Per questo motivo, l’architettura industriale ospita spesso mostre, laboratori e arti performative, volte a unire le idee e i valori della creatività con gli strumenti e i linguaggi dei nuovi paradigmi imprenditoriali. Un percorso – quello dell’open innovation – in cui l’Italia non è seconda a nessun altro Paese (basti pensare all’esperienza generativa di Adriano Olivetti) e che vede sempre più hub impegnate in solide strategie di commistione tra arti figurative e meccaniche, pensiero immaginativo e logica aziendale, nell’ottica della riorganizzazione dei processi secondo un approccio distruttivo.

Di questo parla l’Art Thinking, il cui Manifesto politico-culturale è stato presentato per la prima volta il 25 giugno 2019 presso il MAXXI di Roma. Una pratica, per citare proprio il Manifesto, «necessaria anche e soprattutto nei contesti aziendali, dove la rapidità dei cambiamenti e l’incertezza degli scenari oggi premia i soggetti capaci di convivere con l’incertezza, reagire in tempo reale, privilegiare pensieri diagonali, avere visioni ispirate da fenomeni apparentemente eccentrici. Aziende capaci di non temere, ma semmai provocare, la disruption, la distruzione creativa di schumpeteriana memoria, che nel giro di un quinquennio crea nuovi mondi e altrettanti ne distrugge». Un metodo che, tuttavia, non è immune da alcune problematiche, prima tra tutte la distanza tra la sua teorizzazione e la sua realizzazione pratica, basata su competenze trasversali e qualità difficilmente dimostrabili, come la capacità di pensare in maniera divergente; ma che si è dimostrato efficace tanto in campo aziendale quanto in campo educativo, apportando notevoli miglioramenti nei processi produttivi e nella brand identity, nel primo caso, o migliorando i processi di insegnamento e apprendimento nel secondo.    

Note: Joseph Schumpeter (1883-1950), economista austriaco operante in Germania a inizio Novecento e infine trasferito negli Stati Uniti. Ha definito, tra gli altri, il concetto di distruzione creativa alludendo al naturale e drastico processo di selezione aziendale, secondo il quale le aziende che nascono e si rafforzano sono accompagnate da un numero altrettanto significativo di aziende che si disgregano e scompaiono.

Marco Amore