“Come stai?” è una scusa che usiamo per parlare di noi

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Prestando attenzione si possono origliare diverse conversazioni che ogni giorno si svolgono attorno a noi. Quando lo si fa si nota che i dialoghi sono incentrati su un unico pronome personale, il primo singolare: io!

In realtà il dialogo spesso parte dalla classica domanda “Come stai (tu)?”, ma è esperienza comune che chi pone la domanda poi risponde con espressioni del tipo: “secondo me”, “anche io”, “invece io” e via dicendo.

Lo psicologo svizzero Jean Piaget ha studiato per anni il mondo infantile ed in particolare la dinamica dell’egocentrismo infantile. Secondo questo studioso l’incapacità di ascoltare fino in fondo gli altri senza riportarlo e ridimensionarlo nell’alveo delle proprie esperienze è dovuta alla carenza di esperienze del bambino che non gli permette di comprendere la diversità dell’altro. Questo tipo di dinamica va a svanire quando il bimbo raggiunge i setti anni di età per Piaget. Invece per Vygotskij, altro grande studioso del mondo infantile, questo tipo di dinamica non si azzererebbe, ma l’adulto la porterebbe sempre più all’interno del proprio essere rendendola sempre meno evidente, ma pur sempre presente.

"Come stai?" è una scusa che usiamo per parlare di noi

Detto ciò appare evidente che la relazione con gli altri sia un processo che parte da sé e poi si espande via via verso gli altri. A questo punto si potrebbe anche pensare che la tanto chiacchierata empatia sia un’attenzione verso gli altri che parte da un movimento in fondo egoistico. A tal proposito è stato notato come anche i bambini quando vogliono consolare i loro piccoli amici in fondo usano le loro categorie. Il tipico esempio è quello della bimba che per consolare il suo amichetto gli porge la sua bella bambola, pensando che visto che piace a lei piacerà anche al suo amico in lacrime. Per sviluppare un’empatia più efficace e matura serve quindi imparare a decentrarsi portando l’attenzione fuori da sé. Solo attuando questo sforzo potremo comprendere un po’ di più il mistero che è l’altro per noi senza plagiare i suoi pensieri e renderli simili ai nostri. Sorge quindi una domanda: come fare?

La risposta sarebbe lunga e complessa, come è facilmente immaginabile. Quello che si può fare è iniziare a percorrere la strada che porta verso la risposta desiderata rispettando questi semplici suggerimenti:

  • Credere nel fatto che ogni incontro possa introdurre una novità di vera conoscenza all’interno del nostro mono del “già saputo”;
  • Ascoltare sempre, tutto e fino alla fine. Senza avere fretta di mettere etichette o giudicare con una mannaia;
  • Ricordarsi che il nostro interlocutore è altro da me, con una sua storia, un vissuto ed esperienze anche lontane dalle nostre.

Quindi affacciatevi al dialogo con curiosità come se doveste fare un viaggio in una terra inesplorata. La prima persona singolare, il famoso “io” è sicuramente importante, ma l’invito è quello di esplorare il mondo e il primo ed efficace metodo è dire “tu”. Per te ne vale la pena?

Luca Brambilla