L’importanza dello stile nella comunicazione aziendale

Tempo di lettura: 8 minuti.

Stile. Una parola complessa che si apre come un ventaglio a una più esatta lettura.
Il riferimento ha una sua precisa motivazione: come un ventaglio ha un inizio che tiene insieme una serie di raggi. Ogni raggio ha il compito di aprire una regola e di indicare la strada da percorrere per raggiungere l’obiettivo.

Cinque le regole base: attenzione all’immagine, studio del linguaggio, applicazione nell’ascolto, rispetto del silenzio e impegno nella scrittura.

Attenzione all’immagine

Perché l’immagine? Perché è il primo messaggio che diamo di noi. Il mezzo che trasferisce agli altri senza il nostro controllo quello che siamo. L’immagine è l’abito, il vestito, le scarpe, anche il nostro taglio di capelli, la nostra faccia. Giorgio Armani, indiscutibile maestro di moda, sostiene che il vestito va adattato alle esigenze del momento e considera l’eleganza un incontro tra perfezione, rigore e costanza. A rappresentarlo al meglio è il colore blu.
I suoi consigli:
1) l’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare;
2) nella società dell’apparire occorre apparire, ma l’essere è ancora un valore fondamentale. Ritengo che l’apparire abbia breve durata, ma l’essere sia per la vita;
3) lo stile consiste nel corretto bilanciamento tra sapere chi sei, che cosa va bene per te e come vuoi sviluppare il tuo carattere. I vestiti diventano l’espressione di questo equilibrio;
4) la volgarità è la malattia della finta modernità;
5) véstiti in modo che, quando vedi una tua foto, non sia in grado di attribuirle una data.

Studio del linguaggio

Il linguaggio è fatto di parole, moltissime. Il Devoto Oli e lo Zingarelli, i due dizionari più autorevoli, contano fra 110 e 145 mila lemmi, ma nell’uso comune si stima non siano più di 2000. Parlare dunque vuol dire trovarsi di fronte all’urgenza di scegliere la parola.
«Mi piace chi sceglie con cura le parole da non dire» è una bellissima frase scritta da Alda Merini. Ma quali sono le parole da non dire?
Sono quelle che appaiono sentenze, giudizi inequivocabili, decisamente negative, con un senso che non è possibile correggere. Parole apparentemente senza sinonimi, il cui significato non lascia appello. Parole che feriscono, che fanno male, che diventano indimenticabili.
Parole come affermazioni, usate per esprimere un punto di vista troppo nostro, lanciate quasi senza tener conto della direzione. Che però non si perdono nell’aria, ma entrano nell’ascolto anche apparentemente più distratto e lasciano il segno.
Le parole non sono mai neutre. Il loro scopo è quello di trasferire un messaggio. E in un messaggio c’è la notizia e l’emozione. Due elementi che sono strettamente legati alla comunicazione.

Applicazione nell’ascolto

Apparentemente innocuo. Si esprime con il silenzio, al quale va riservato un capitolo a sé. Nello stile della comunicazione l’ascolto è l’elemento più misterioso. Vi fanno capo il comportamento del corpo, la posizione della testa, il controllo dello sguardo.
L’ascolto si divide in attivo e passivo. Nel primo caso nasce e prepara la risposta. Nel secondo è vuoto, non fa seguito a una riflessione logica. Nel 1957 nell’articolo Communication in Bussiness Today pubblicato da Rogers e Farson, ricercatori e psicologi,  padri dell’ascolto attivo, si dice che l’ascoltatore attivo è colui che ha radicato in sé un atteggiamento positivo e genuino verso le tematiche affrontate dall’altro. La definizione che ne danno è la capacità di ascoltare senza recepire passivamente le parole pronunciate dall’interlocutore.
L’ascolto attivo è l’ascolto responsabile, che immediatamente coglie i segnali di chi deve recepire il messaggio, quello che deve appartenergli, perché detto a lui e per lui. L’ascolto passivo è di chi non risponde con nessun atteggiamento di interesse, è quello che scoraggia chi parla a proseguire il discorso. Il comportamento di chi è così distratto da dare evidenti segni di distanza, come se quello che gli viene detto riguardasse sempre qualcun altro. Davanti a chi parla, c’è sempre chi è chiamato ad ascoltare e anche questa è nello stile della comunicazione aziendale una figura che ha un suo ruolo.

Rispetto del silenzio

Il silenzio è un tempo d’attesa di cui siamo chiamati a essere coscienti. È fondamentale per poter analizzare il senso della conversazione, è necessario per prepararsi ad avere in cambio la risposta cui aspiriamo. Il silenzio si esprime anche con lo sguardo, che è sempre uno sguardo interrogativo. Tra silenzio e ascolto c’è sempre complicità, l ’uno prepara l’altro e viceversa, quasi una sfida che mette in gioco la bravura dei due attori.
Riuscire a capire quali sono i momenti che richiedono di stare in silenzio a riflettere piuttosto che riempire il vuoto, è un aspetto utile perché migliora le capacità di analisi dei vari momenti della conversazione.

Impegno nella scrittura

Comunque si scriva, sia a mano sia a tastiera, le parole devono essere al posto giusto nella pagina. Soggetto, verbo, complemento oggetto non sono un optional, non devono trovarsi a caso davanti ai nostri occhi. La lettura deve persino precedere la scrittura, il senso è dato da come le parole si susseguono. Stiamo parlando di stile e non di una libera passeggiata su un foglio di carta.
La scrittura è fatta per aumentare l’attenzione data alle informazioni, per consentire alla mente di valutare e organizzare meglio i dati ricevuti e imprimere più efficacemente idee e concetti. Scopo finale: ricordarli in modo utile.
Dietro a una mano che scrive c’è un cervello che esprime personalità e carattere, autonomia o dipendenza. Che rivela calma e pazienza o al contrario nervosismo o mancanza di controllo delle proprie emozioni.
A scrivere, a scrivere con il compito di essere accessibili a chi legge un comunicato aziendale, si impara. Davanti a un documento ufficiale non ci si aspetta poesia o il periodo che ha reso famoso Marcel Proust.
Imparare significa:
– essere coincisi e fare sintesi, cioè riassumere;
– cercare nella lettura di altri testi, soprattutto dei giornali, la fluidità che non è ostacolo alla comprensione;
– e soprattutto preferire immagini concrete a quelle astratte e generiche.

Lo stile in azienda è una dote, nella comunicazione è carta d’identità senza scadenza.

Luisa Maria Alberini