Riprogrammazione, la parola chiave per la ripartenza: intervista a Massimo Balestri

Roche Diabetes Care è tra le aziende che non ha fermato la propria attività durante l’emergenza e ora affronta la fase 2 pronta a nuovi cambiamenti

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Ogni giorno assistiamo alla crisi dell’epidemia Covid-19 attraverso gli occhi dei giornalisti, i pareri degli esperti, i commenti dei politici. Oggi scopriamo come ha reagito a questa situazione una multinazionale che si occupa di salute grazie alla testimonianza di Massimo Balestri, Responsabile di Roche Diabetes Care per la Sub-Region Western Europe, le cui parole ci trasmettono chiaramente l’importanza della sicurezza per un’azienda di questo settore, il valore del rapporto medico-paziente e la necessità di sapersi rivalutare anche dopo la fine della crisi.

Come ha vissuto in Italia l’epidemia da Covid-19?

La mia situazione è particolare perché dopo tanti anni di responsabilità di Roche Diabetes Care Italia, dal 1 marzo ho assunto il ruolo di Western Europe Sub-Region Head (Spagna, Portogallo, Olanda, Belgio e i Paesi Nordici). Perciò ho vissuto in prima persona il momento critico dell’insorgenza dell’epidemia in Italia, mentre ho dovuto stravolgere drasticamente la mia agenda, passando da innumerevoli viaggi aerei alla quarantena a Monza. In Italia, appena ufficializzati i primi casi, abbiamo riunito il Comitato di Crisi delle tre aziende Roche operanti in Italia e già domenica abbiamo invitato tutti i dipendenti interni a lavorare da casa e abbiamo pregato i colleghi sul territorio di prestare molta attenzione durante le loro visite, oltre a consigliare loro di contattare il proprio medico curante qualora si fossero recati nelle zone dei focolai i giorni precedenti.

Cos’è successo dopo la dichiarazione dei primi casi accertati?

In Italia la prima settimana fu surreale. Occorreva capire cosa fare per gestire la situazione e valutare i rischi per le persone, ma allo stesso tempo garantire l’approvvigionamento dei nostri prodotti. Il Comitato di Crisi ha preso quotidianamente le decisioni necessarie per assicurare un lavoro in sicurezza, come ad esempio chiudere la mensa per evitare assembramenti, prevedere sessioni specifiche di sanitizzazione dei locali e limitare le riunioni. Abbiamo fatto ricorso al Business Continuity Plan e al Pandemic Plan, sviluppati per essere preparati alle emergenze. Il primo punto è assicurare la salute e la sicurezza di tutti i dipendenti. Il secondo è garantire la sostenibilità del sistema.

Riprogrammazione, la parola chiave per la ripartenza

Cosa avete fatto quindi?

Dal 9 marzo a tutte le persone di Roche è stato chiesto di lavorare da casa. Ma non abbiamo mai fermato le nostre attività. Abbiamo sempre garantito la disponibilità dei nostri sistemi attraverso la catena logistica e la predisposizione di modalità di distribuzione alternative. Ci siamo preoccupati di come aiutare le persone con il diabete a mantenere un corretto compenso metabolico e limitare il rischio di contagio, nonostante le difficoltà a recarsi in ospedale. Per questo ci siamo attivati per consentire lo scambio di informazioni da remoto tra medici e pazienti e garantire l’assistenza sanitaria anche a distanza. Insieme a Roche Pharma e a Roche Diagnostics abbiamo supportato l’iniziativa “Roche si fa in 4” attraverso cui abbiamo fornito a titolo gratuito un farmaco per le sperimentazioni e abbiamo donato un milione di euro per dispositivi di sicurezza. E per i nostri collaboratori a casa abbiamo avviato attività di training formativo, oltre che dialoghi aperti con i responsabili per condividere eventuali problematiche – anche personali. Tutte queste cose, poi, le abbiamo fatte a distanza di 10 giorni in tutti gli altri Paesi europei, per ognuno dei quali abbiamo realizzato un piano specifico.

Cosa pensa che accadrà in questa fase due e come vi state preparando?

Sostanzialmente per noi non esiste una fase due in quanto non abbiamo mai rallentato e stiamo proseguendo con le nostre attività, sia a livello locale, sia a livello globale. Per me questa fase segna il passaggio dal periodo di emergenza a quello della convivenza, ovvero un cambiamento di mindset che consentirà a tutte le nostre risorse di coesistere con questo contesto straordinario e di conseguenza rivedere la relazione con tutti i nostri stakeholder.

Quando torneremo a qualcosa che potrà essere definita normalità e come vi state preparando?

In prima battuta stiamo prestando attenzione alla modalità in cui viene vissuta questa fase dalla nostra popolazione aziendale. Non è facile combinare il lavoro da casa con le esigenze professionali, tra l’alienazione dei single e la coesistenza nello stesso spazio di genitori e figli, per questo stiamo prevedendo iniziative di vario genere per sostenere il benessere generale delle persone. In secondo luogo, stiamo riprogrammando le nostre attività e i nostri servizi in funzione di un nuovo approccio con il cliente. Lavorare in un contesto diverso da quello tradizionale impatta le nostre attività e dobbiamo tenerne conto, anche in termini di apprendimento. Operando poi nel settore della salute vogliamo garantire che la qualità dell’assistenza si mantenga su standard elevati, anche al di fuori del contesto del Covid. Torneremo a una pseudo normalità a settembre e il nostro obiettivo è quello di adattarci al meglio a questa condizione portando a termine le attività prefissate.

Cos’ha imparato da questa situazione?

Personalmente ho fortemente rivalutato il potere della pianificazione, ma soprattutto l’importanza delle relazioni, anche in queste circostanze. Grazie alla tecnologia è stato possibile adattarsi facilmente alla situazione, tutte le persone sono state messe in condizioni di svolgere la loro attività e i contatti personali sono stati addirittura rafforzati. Basti pensare che siamo riusciti a realizzare con successo un kick-off meeting, con più di 40 colleghi appartenenti ai Paesi Nordici in cui non solo abbiamo presentato le nostre aspirazioni, ma abbiamo anche iniziato a conoscerci. Lo scambio di esperienze tra i diversi Paesi è stato poi molto importante, al punto che l’integrazione delle best practice altrui nel proprio piano è diventata una prassi. Dover gestire situazioni totalmente inaspettate e trovare le risorse fisiche e psicologiche per farlo ha alimentato il senso di responsabilità e di appartenenza ad una realtà davvero speciale. Quello che mi auguro è che, una volta superata la crisi, niente di tutto ciò venga dimenticato, perché la reazione all’emergenza è quasi automatica, il lavoro vero inizia dopo.

Luca Brambilla

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