“Sorridi e il mondo ti sorriderà” – La comunicazione over in una casa di riposo americana

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I consigli degli anziani alle nuove generazioni

“Per oppormi al dolore della non comunicazione, ho deciso di scriverti”. Così si prometteva di fare Vittorino Andreoli nella sua celebre Lettera a un adolescente (Rizzoli, 2004) per contrastare il “mutismo tra generazioni, che vuol dire tra padri e figli dentro la stessa casa, mentre ci si trova fianco a fianco”. Per Andreoli solo la parola scritta può gettare un ponte verso l’adolescenza, terra impenetrabile e ostile, e solo l’atto della lettura – momento solitario e taciturno – può dare spazio all’accoglienza del messaggio. Se questa visione stride a confronto con alcuni numeri allarmanti (nella nostra penisola ben 6 persone su 10 non leggono nemmeno un libro all’anno, dati Istat 2018), è pur vero che Andreoli assume nei confronti del suo interlocutore “l’atteggiamento di un padre e di un nonno”. Se dunque comunicare tra genitori e figli è spesso difficile o addirittura impossibile, resta agli anziani il compito di tendere una mano alle generazioni più giovani.

È accaduto qualcosa di simile nel Wheatland Manor, casa di riposo dell’Iowa, tra le Grandi Pianure del Midwest degli Stati Uniti. Due anziane signore, Jean Williams e Mary Cronkleton, si sono conosciute nella residenza e hanno subito stretto un forte legame. “Quando Mary arrivò e scoprì che sua figlia aveva un cancro, mia figlia morì di cancro”, racconta Jean. “Pregai molto per lei e per sua figlia. Questo è uno dei motivi per cui siamo diventate così amiche”. Solo allora Angie Bousselot, responsabile delle attività del centro, intuisce che le drammatiche esperienze vissute dalle signore avrebbero potuto trasformarsi in un messaggio di speranza. “Hanno molta più esperienza di vita di noi e sono molto sagge. Hanno attraversato momenti che noi non vivremo mai e hanno molti consigli da dare”. L’idea di Angie Bousselot è semplice ed efficace. Propone ai residenti del Wheatland Manor di farsi fotografare tenendo tra le mani una lavagnetta scritta a pennarello, una sorta di scheda con tre categorie: nome, età e consiglio per le generazioni più giovani. Le immagini, pubblicate nel dicembre 2019 in un post sulla pagina Facebook della casa di riposo, sono subito diventate virali.

Il consiglio di Jean, 85 anni, è di essere gentili con tutti. “Dio ci ha generati e vuole che siamo gentili, ed è così che io cerco di fare. Io amo tutti, forse non mi piacciono alcune cose che certe persone fanno, ma le amo ugualmente”. Per Mary, 90 anni, il consiglio è di fare un lavoro che si ama. “Ho scelto di dire di trovare un lavoro, farlo bene e amarlo. Per farlo bene ti deve piacere. Bisogna avere uno scopo per lavorare tutta la vita e questo ti ricompensa sempre”. La stessa Angie Bousselot sa bene che i suoi pazienti sono per lei una motivazione unica: “Da quando lavoro nella sanità ho sempre detto che potrei scrivere un libro con tutto quello che mi raccontano. Cose divertenti e cose serie. Non vado mai a casa senza aver imparato qualcosa da loro”.

I messaggi di ottimismo e amore universale di Jean e Mary sono condivisi anche da altri pazienti. Alice, 94 anni, ricorda l’importanza del sorriso (“Sorridi e il mondo ti sorriderà”). Altri danno valore alla gestione del tempo, dando suggerimenti utili anche al mondo manageriale: Doris, 89 anni, raccomanda di prendersi più tempo per godersi la vita. Lola, 86, dice semplicemente “Rallenta”. Anche il denaro occupa il suo spazio, come ricorda il 91enne Charles, che invita a risparmiare. Più concreto il consiglio di Lois, 96 anni: “Gioca a Uno con la tua nonna”, suggerisce aggiungendo una faccina sorridente.

Un’analisi prossemica

Le immagini postate sul profilo del Wheatland Manor si prestano anche a una riflessione in campo prossemico. La prossemica consiste, secondo la definizione di Edward T. Hall, nello “studio di come l’uomo struttura inconsciamente i microspazi, le distanze interpersonali e i rapporti spaziali tra gli uomini all’interno di una comunicazione, sia verbale sia non verbale”.

Osserviamo con attenzione le fotografie. I ritratti mostrano gli anziani seduti o semisdraiati su comode poltrone, spesso sostenuti da cuscini e circondati da calde coperte. Tengono in grembo la lavagnetta, sorridenti, e vestono come in un giorno di festa, pronti per ricevere la visita di ipotetici nipoti e parenti. Le signore sono fresche di parrucchiere, le mani curate, i gioielli in vista. Ciò che accomuna tutte queste immagini è la direzione dello sguardo dei soggetti: tutti guardano dal basso verso l’alto. Chi li ha fotografati era evidentemente in piedi davanti a loro, proprio come avviene quando andiamo a trovare un parente anziano e non ci sediamo. Il punto di vista troneggiante del fotografo – che automaticamente coincide con il nostro – schiaccia e domina il soggetto ritratto. Pensiamo ad altre immagini in cui possiamo ritrovare la stessa prospettiva top-down. È sicuramente il caso dei bambini, degli animali, dei mendicanti ai bordi delle strade, perfino di molti elementi della natura, cioè di tutte quelle figure “basse” (e indifese) davanti alle quali è necessario inginocchiarsi o sedersi per essere alla stessa altezza visiva. In questo caso, la scelta di fotografare gli anziani dall’alto serve proprio a ricreare il naturale contesto di una visita tra parenti, e a sottolineare la fragile condizione dei soggetti, armati solo di un benevolo sorriso. A conferma del fatto che, in realtà, la vera distanza non c’entra con l’occhio, ma ha a che fare con la coscienza: lo spazio non è solo quello visivo, ma è l’inconscia geometria dello spazio umano che coinvolge più profondamente la nostra sensibilità.

Un’analisi della comunicazione verbale

La necessità di lasciare traccia di sé tramite un segno o un simbolo è antica quanto l’uomo. Ciò che nel tempo è cambiato è soprattutto il supporto: pareti delle caverne, tavolette di argilla, sigilli, monili. E poi cartelli pubblicitari, insegne dei negozi, striscioni. Il mezzo qui usato, una lavagnetta “scrivi e cancella”, è una scelta non casuale. Uno strumento semplice, analogico, oggi usato solo in qualche ufficio o sala conferenze.

Notiamo anche l’uso dei colori che differenzia la funzione: blu per le tre categorie (nome, età, consiglio) e viola per le informazioni corrispondenti. Ciò che colpisce è la grafia, comune a tutte le lavagnette: una mano sicura e femminile, forse proprio quella della giovane direttrice del Wheatland Manor. Sarà stata probabilmente lei ad aggiungere una “faccina” in fondo al messaggio di Lois: in un’era digitale in cui si comunica in forma telematica, le emoticon sono necessarie per dare la sfumatura ai gesti e alle intenzioni. Come scrive Silvia Ferrara, “Abbiamo un bisogno pressante, quasi ossessivo, di vedere facce. Di avere risposte sensoriali che ci aiutino a distinguere i volti e le loro espressioni”. Sono infatti le facce le vere protagoniste di questi ritratti: i volti sorridenti e indifesi di questi anziani – gli stessi che solo dopo pochi mesi sarebbero stati i più colpiti dalla pandemia – appaiono oggi come un monito.

Li vediamo ancora. Grazie alle lettere scritte, i loro pensieri e le loro emozioni resteranno per sempre come un’esortazione per tutti noi e ci ricordano che il diritto di comunicare non conosce limiti né di età, né di spazio.

Alessandra Voi

Bibliografia:

  • Andreoli, V. 2004, Lettera a un adolescente. Rizzoli.
  • Ferrara, S. 2019, La grande invenzione. Storia del mondo in nove scritture misteriose. Feltrinelli.
  • Hall, E. T. 1966, La dimensione nascosta. Bompiani.