Talento: si nasce o si diventa?

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Talento, parola che viene da lontano e che il tempo ha arricchito di molti significati. Si potrebbe definire anche qualità e l’elenco diventa lunghissimo. Ma per approfondirne la ricchezza non si può prescindere da quel testo che ha talento, anzi talenti, nel titolo: La parabola di Matteo 25,14-30, testo che nel corso della lettura ha grande estensione, spazia da “bene” a “responsabilità”, e che si ribalta poi nell’accoglienza che l’impiego del talento ha ottenuto. O come scrive Enzo Bianchi in un suo commento al testo di Matteo «parole che non invitano necessariamente all’attivismo ma alla vigilanza, a una prudente gestione di quanto ricevuto, senza mai dimenticare che a ciascuno il padrone dà in funzione della sua capacità e il dono ricevuto è anche un compito: custodire e far fruttificare». 

Più vicina a noi Arielle Essex, esperta nel campo della programmazione neurolinguistica, la cui missione è guidare le persone a sviluppare il loro massimo potenziale, a realizzarsi e a essere felici, sostiene in un suo libro di successo – Coaching dal Cuore – il metodo per definire gli obiettivi: a cominciare dall’osservazione dei germi del talento dentro di noi, e più attentamente ai nostri valori, per arrivare a scoprire la nostra missione personale, ciò che riteniamo veramente importante. E ne dà poi una serie di esempi, suggerisce una lunga lista di talenti, a portata di mano, da ricercare e esprimere. 

A questo punto si pone la domanda: avere talento o essere talento? E qual è la differenza tra queste due affermazioni. 

Avere talento vuol dire considerarsi portatore di un dono, riconoscersi dotati di un valore facile da esprimere, che non può e non deve essere nascosto, evidente anche a chi non ha merito per vederlo. Il talento come dono è di chi è per definizione geniale, di chi fin da subito sente e ha sentito l’inclinazione spontanea verso un richiamo che lo ha completamente coinvolto e che ha trasformato nel vero senso della vita. Il talento come scopo di vita, destino, approdo. Che porta gli altri a concludere “non poteva essere che così”, lo avevamo capito tutti, erano chiare quelle doti speciali che lo avevano reso diverso. Dono è quello a cui si presta attenzione appena lo si avverte, che avvolge fino a non lasciarci più, che non chiede di entrare, perché non ne ha bisogno, è già dentro di noi in maniera inconfondibile. 

Avere talento vuol dire considerarsi portatore di un dono, riconoscersi dotati di un valore facile da esprimere.

Essere talento: quando e perché? È persona di talento quella dotata di qualità che si aprono all’occasione, che si manifestano di fronte a un particolare impegno, che si rivelano quando la necessità o il caso richiedono una risposta. È il talento che emerge di fronte alla possibilità di essere esercitato, che se pur naturale non viene in superficie se non quando qualcosa o qualcuno lo sollecita. Il caso tipico è quello del campione sportivo, il ragazzo che il suo allenatore scopre fenomeno perché capace di sostenere una particolare fatica che lo premia con una prestazione al di fuori del comune. È il caso del musicista che alla tastiera o a un altro strumento musicale si sente trasportato dal suono fino a ricostruire in modo del tutto originale lo spartito che ha davanti. È il caso del ricercatore e qui discipline e materie di applicazione sono infinite proprio perché la possibilità di integrare e far comunicare vari ambiti del sapere aprono scenari che si estendono a molteplici interessi. 

A motivare un talento è anche quella spia che si accende quando ci si trova a superare un ostacolo non previsto, che richiede un particolare impegno. Qualcosa di più di uno sforzo di volontà, è quella specie di via di uscita dal finora previsto e prevedibile, che si affaccia su un orizzonte a cui credere, quasi come una sfida da affrontare, a volte sollecitata soltanto dall’intuito. Che poi si rivela sempre ricco di senso. Contribuiscono a una improvvisa voglia di esplorare il problema curiosità, disponibilità, determinazione, entusiasmo, ma anche generosità, precisione, visione. Tutte strade o direzioni che equivalgono ad altrettanti suggerimenti per spingere la ricerca al di là del primo tentativo e che forse conducono e poi confermano un risultato oltre l’immaginazione. 

E talento è parola a cui Dante ricorre nella Divina Commedia, canto V dell’Inferno a motivazione dei lussuriosi dei quali dice: 

Intesi ch’a così fatto tormento 
Enno dannati i peccator carnali, 
Che la ragion sommettono al talento. 

Qui il significato muta completamente, significa passione, ma sono passati più di Settecento anni dalla morte del grande Poeta e la lingua, anche la più eccelsa, ha altri riferimenti. 

Luisa Maria Alberini