Leadership: qual è il modo giusto per comunicare nell’epoca del Covid-19?

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Come dovrebbe comportarsi un Leader in tempo di crisi?

Precedentemente, abbiamo parlato dell’impatto che ha avuto l’esempio di leadership attuato dal CEO e co-founder di AirBnb, Brian Chesky.

Ora, vogliamo porci un’altra domanda: cosa ci si aspetta da un leader, al giorno d’oggi, compatibilmente al cambiamento che sta affrontando tutto il work system? Cosa significa fare (bene) leadership, quando gli equilibri sembrano così fragili?

Non è raro leggere post motivazionali e d’ispirazione di CEO, manager ed HR che, com’è ovvio, riscuotono parecchio successo, interazione ed approvazione da parte degli utenti delle varie piattaforme. Di pari passo alle riflessioni positive e costruttive che ne derivano, però, scorrono alcuni dubbi: perché, su carta, il mondo del lavoro sembra un posto fantastico e nella realtà, invece, le difficoltà riscontrate da ognuna delle parti, a volte, sono così tante da compromettere i reciproci rapporti di fiducia che dovrebbero essere alla base?

Innanzitutto, portare ad una community degli esempi positivi – per quanto difficilmente riscontrabili, poi, nella realtà quotidiana d’ognuno – sia meglio che non portarne affatto. Perlomeno, si generano domande e riflessioni che, sicuramente, troveranno a loro volta uno spazio di condivisione e confronto. In un mondo ideale, la speranza sarebbe quella di dar vita ad una reazione a catena che, pian piano, possa innescare un cambiamento radicale nel modo di vivere e concepire la vita lavorativa.

Forse, sarebbe anche necessario distinguere tra realtà lavorativa in Italia e realtà lavorativa in altri Paesi (il concetto di “far carriera”, da noi, è davvero considerato allo stesso modo di altri Paesi esteri?), ma, per il momento, ci fermeremo a ragionare sulle aspettative attuali a cui dovrebbe far fronte un leader.

La Leadership ideale

In un’intervista, Stephen R. Covey, autore di “7 Habits of Highly-Effective People”, dice che la definizione più bella di leadership l’ha avuta da suo padre: “Leadership è comunicare così chiaramente il valore ed il potenziale delle persone, che, alla fine, saranno ispirate a vederli in se stesse.” E questa sarebbe l’ottava abitudine.

Mentre sempre più aziende (colossi come Twitter o Facebook, ma anche imprese molto più piccole) cominciano a considerare l’opzione di permettere ai dipendenti di lavorare per sempre da casa e i vantaggi cominciano ad essere sempre più chiari (dalla flessibilità alla diminuzione del traffico e dell’inquinamento), si delinea anche la necessità di porre la fiducia al centro di tutto.

Per affrontare una crisi ed i cambiamenti che ne conseguono, è importante anche avere dipendenti sani, concentrati e proattivi. Al giorno d’oggi, investire sul benessere dei dipendenti, per un’azienda, ha lo stesso impatto positivo dell’investire sulla sostenibilità ambientale: porta un vantaggio sia all’interno del mercato che dell’opinione pubblica.

Leadership: cosa ci si aspetta dai leader nel clima post Covid-19?

E’ importante essere più permissivi, dare più supporto e mostrarsi più…umani.
E’ opportuno fornire ai propri dipendenti più strumenti validi con cui orientarsi all’interno del cambiamento, il che vorrebbe dire anche immaginare modelli di crescita personalizzati, in base alle esigenze d’ognuno. E’ dimostrato che uno dei motivi per cui le persone lasciano il proprio lavoro risiede nel fatto che sentono di non star imparando niente. Imparare presuppone che, alla base, ci siano delle sfide. In questo caso, i dipendenti dovrebbero essere resi autonomi ma non abbandonati a se stessi. Fiducia e strumenti vanno forniti, così come una relativa guida appropriata. Anche favorire il lavoro all’interno di gruppi cross-functional porterebbe a notevoli vantaggi, quali il rafforzamento dell’autonomia decisionale e la nascita di idee potenzialmente più creative ed innovative.

Una catena è forte tanto quanto il suo anello più debole.

E, ormai, lo leggiamo sempre più spesso: il modo in cui tratti i tuoi impiegati ora (ma anche i clienti), determinerà il futuro della tua azienda.
Pensiamo, ad esempio, alle critiche ed insulti rivolti ad Uber, in risposta alla decisione di licenziare 3500 impiegati, in una call su Zoom di tre minuti. E’ il momento perfetto per dimostrare d’avere intelligenza emotiva ed empatia; il management reazionario non è leadership strategico.

In più, sarebbe bello immaginare un mondo in cui sempre più assunzioni vengano fatte sul potenziale a 360° che un candidato dimostra d’avere, ragionando meglio sul concetto in sé di “risorsa”, invece che ostinarsi a far riferimento alle mere skills tecniche ed anni d’esperienza alle spalle, trattando l’impiegato come forza lavoro di cui poter usufruire immediatamente, investendoci zero tempo e denaro.

Sempre in un mondo ideale, molte più aziende dovrebbero comprendere che il tempo e la fiducia investiti su un dipendente tornano sempre indietro.

L’altra faccia della medaglia

D’altro canto, sarebbe però poco obiettivo non citare alcuni dei risvolti negativi di questo nuovo modo di lavorare, di cui ci rende particolarmente consapevoli, ad esempio, Mark Zuckerberg: modello emblematico d’imprenditore che non s’è fatto strada né con l’empatia, né con l’intelligenza emotiva. I dipendenti di Facebook, così come quelli di Twitter, potranno probabilmente decidere di continuare a lavorare da casa a tempo indeterminato. Ma la loro retribuzione varierà, appunto, a seconda del luogo da cui lavorano.

Se, da un lato, si parla di employee experience, wellbeing e d’abbattere il “minimum-wage”, dall’altro, ora sembra chiaro quanto pericoloso e competitivo potrebbe diventare il remote working, se dovesse abbassare ulteriormente i prezzi del mercato.
Sempre più imprenditori potrebbero cominciare a pensare: “se posso assumere qualcuno in India che abbia le stesse competenze del mio impiegato a St. Louis, ma pagarlo almeno la metà, perché non farlo?”

Anche in questo caso, la linea di confine sembrerebbe essere segnata unicamente dal valore umano e dalla volontà di prescinderne o meno.

Elena Pezzetta